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Batterio killer all'ospedale di Verona: sospetti su 3 neonati morti

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Un'indagine avviata sulla morte di 3 neonati avrebbe trovato come causa il batterio killer presente in un ospedale di Verona.

Paura per un batterio killer all’ospedale di Verona. Secondo la Procura di Genova – la prima ad aver avviato indagini a causa del decesso della piccola Nina avvenuto nel novembre 2019 al Gaslini – ci sarebbe il Citrobacter dietro la morte di 3 neonati al Borgo Trento di Verona.

E ciò sta portando la direzione sanitaria del nosocomio veneto a prendere importanti provvedimenti: chiusura delle Terapie intensive neonatale e pediatrica interne all’Ospedale della Donna e del Bambino, chiusura a tempo indeterminato del reparto nascite (il più grande del Veneto) e operatori sanitari e infermieri trasferiti in altri reparti. Il Citrobacter è un batterio che va assolutamente sconfitto: sarebbero, infatti, almeno tre i piccoli deceduti, ma altri sarebbero stati colpiti dal batterio che provoca encefalopatie gravissime.

Il batterio killer di Verona

Tutto è nato in seguito alle indagini effettuate dalla Procura di Genova. La perizia ha individuato come causa il Citrobacter, il cosiddetto ‘batterio killer’ presente al Borgo Trento di Verona. Ma ci sono anche altri due casi oltre quello di Nina.

Il primo è relativo al decesso di Leonardo, morto lo scorso aprile a sei mesi. L’altro, invece, sarebbe relativo alla morte prematura del figlio di una coppia pakistana residente a Verona avvenuto la scorsa estate. Ma ci sono anche alcuni neonati che si trovano in stato vegetativo: Alice era nata sana lo scorso marzo, anche se prematura di 30 settimane, ma è poi stata colpita da danni neurologici; la stessa situazione riguarda un altro piccolo, anche se i casi in totale sarebbero una dozzina.

Perciò, è stata insediata una commissione esterna per chiarire come sia possibile che il Citrobacter abbia potuto intaccare, in un arco di tempo molto ampio, tanti piccoli ricoverati o neonati. Per Francesco Cobello, direttore sanitario della struttura, non c’è spiegazione al momento: “Ci sono due forme di contaminazione: verticale, ossia da madre a figlio, e orizzontale, cioè da persona a persona. Stiamo lavorando per capire quale delle due sia intercorsa e se il ceppo che ha colpito i nostri pazienti sia lo stesso. Il campanello d’allarme che mi ha portato a spostare le due Terapie intensive e a chiudere il punto nascite è stata la contemporaneità dei casi. Poiché le varie sanificazioni effettuate non hanno sortito risultato, ho voluto eliminare anche la più remota ipotesi di ulteriore infezione”.

Le testimonianze

Ad accusare è Francesca Frezza, la mamma di Nina: “Non è un caso. L’infezione sarebbe stata contratta in ospedale, la morte provocata da sepsi da citrobacter, lo dice la perizia”. Dopo la morte di sua figlia, Francesca è stata contattata da: “Da tre mamme. Anche i loro figli hanno avuto infezioni da citrobacter. Poco tempo fa è morto un bambino di sei mesi di Verona. Un altro, nato nello stesso periodo di Nina è in stato vegetativo. Un terzo, che ho visto con i miei occhi in terapia intensiva mentre c’era mia figlia ricoverata, è morto lo scorso luglio”.

Per la mamma di Nina non si tratta di: “Un caso singolo, anche se a me è sempre stato ripetuto che si trattava di un caso isolato e che il precedente risaliva a cinque anni prima. Ma le perizie medico legali sono chiare: il contagio è avvenuto in terapia intensiva e dato che il citrobacter si trasmette dalle urine e dalle feci qualcun altro ce lo doveva avere nello stesso reparto”.