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Sergio Gerasi: "L'Aida è una graphic novel critica, ma non anti-moderna"

laida sergio gerasi

"Nonostante la critica ai social network e al mondo digital, L'Aida non è una storia nostalgica, soprattutto non anti-moderna", Sergio Gerasi racconta a Notizie.it il libro per celebrare i suoi primi 20 anni di carriere.

In un anno condizionato dal Covid-19, Sergio Gerasi celebra i suoi primi vent’anni di carriera con una nuova opera: L’Aida (Bao Publishing). L’autore incentra la sua opera su un incontro tra la giovane e benestante protagonista e un gruppo di artisti di street art, due mondi opposti che andranno a incontrarsi in una Milano che rispecchia questo binomio. A Notizie.it Gerasi racconta il vero tema del libro e ripercorre la sua lunga carriera.

L’Aida viene pubblicato nell’anno della pandemia da Coronavirus. Quanto la situazione circostante ha influito sulla tua opera?

Questo libro lo definisco come un incontro. Da una parte si ha Aida, la protagonista del libro, che è una ventenne che sta scrivendo con qualche difficoltà la tesi in fotografia. Si tratta di una ragazza con una famiglia di alto rango sociale, dato che la madre è la direttrice di un telegiornale televisivo. Tuttavia questa ragazza inizia a vivere una crisi che affronto in modo generico, senza entrare nei dettagli. Questa crisi porta Aida a perdere la bussola. L’incontro avviene con un altro protagonista, che in realtà è un gruppo di ragazzi ventenni, che – al contrario di lei – vivono in condizioni molto disagiate, vivendo addirittura accampati in una baraccopoli sotto i piloni della tangenziale. Questi ragazzi, al contrario di Aida che sembra un po’ inerme rispetto alla sua crisi, combattono la loro condizione disagiata attraverso la street art. Dal loro incontro scoppia una scintilla che fa maturare un senso più critico anche nella protagonista.

Questo libro ho iniziato a scriverlo due anni fa. La cosa buffa è che il gruppo di ragazzi che fanno street art si chiama The virus e come tale tendono a comportarsi. Naturalmente si tratta di un virus intellettuale, positivo, tutto l’opposto di quello che stiamo fronteggiando adesso. Quando è scoppiata la pandemia mi sono posto alcune domande: la principale era come eventuali lettori potessero prendere questa storia. Poteva sembrare un instant book fatto sulla pandemia, poteva anche esserci un rigetto sull’argomento, e quindi l’aspetto sul quale ha realmente influito la pandemia riguarda soltanto le ultime due pagine. Ho deciso di unirle per cercare di spiegare bene la differenza tra quello che io ho immaginato e quello che invece abbiamo vissuto, che si è rivelato essere l’esatto opposto.

Un’altra tua storia che ha come sfondo Milano. Quale significato assume Milano in Aida e, più in generale, quanto il luogo in cui sono ambientate, influisce sulle tue storie?

Questo è il mio terzo libro dove Milano è molto presente. Non ho mai cercato di rendere il luogo dove si svolge la narrazione tanto protagonista all’interno delle mie storie, però effettivamente noto che quasi sempre emerge il grande carattere di questa città, dove io sono nato e cresciuto. I luoghi dove immaginiamo avvengano queste storie, poi inevitabilmente ci rimangono attaccate. Il luogo dove io vivo è molto importante per la creazione di una mia identità e ciò si riflette poi nelle mie opere.

A differenza delle storie precedenti, questa ha come protagonista una donna. Come mai questa novità all’interno della tua produzione artistica?

L’intento era quello di allontanare l’idea di un autobiografismo esasperato, perché in realtà ho sempre cercato di tenermi lontano dalle storie autobiografiche. Però, non scrivendo western o storie di genere, è inevitabile che un po’ della mia quotidianità e della mia vita rientri nella narrazione. Per questo motivo le mie storie hanno sempre una voce abbastanza forte, motivo per il quale alcuni miei romanzi precedenti sono stati scambiati per autobiografie, cosa che non erano se si intende il senso stretto del termine. La scelta di utilizzare una protagonista giovane, che ha meno della metà dei miei anni, aveva come scopo quello di allentare un po’ questo senso di autobiografia. Ritengo che questo periodo sia abbastanza maturo per raccontare la storia di una giovane donna. Inoltre volevo testare se effettivamente sono un reale raccontatore di storie, utilizzando così un protagonista che trascendesse dal genere o dall’età, in modo da valutare la maturità del mio approccio narrativo.

sergio gerasi

L’uscita di quest’opera arriva anche per celebrare i vent’anni della tua carriera. Se dovessi paragonare quest’opera con la tua prima di vent’anni fa, quasi da lettore anziché da artista, quali differenze più evidenti noteresti?

Non riconoscerei lo stesso autore, sono cambiate tante cose in vent’anni, sia nell’ambiente lavorativo del fumetto, sia io stesso rispetto a quello che ero quando ho iniziato a muovere i primi passi in questo mondo. È mia attitudine procedere sempre a una ricerca stilistica, soprattutto grafica, per cui devo dire che rispetto al primo album disegnato vent’anni fa, Aida non ha nessun elemento che possa ricondurmi lì. Questo lo considero un aspetto positivo. Quando si fa questo lavoro rimanere fermi, senza aggiornarsi, è quasi paragonabile a una morte artistica.

Hai accennato a una evoluzione del mercato delle graphic novel. Verso quale direzione sta andando?

Si tratta di un mercato relativamente giovane. Quando ho iniziato io, vent’anni fa, sono entrato in uno staff di disegnatori o sceneggiatori per un mercato popolare, da edicola, poiché nelle librerie non c’era traccia di graphic novel, se non con qualche grande classico come Valentina di Crepax. Ora invece questo settore è in totale crescita. C’è stato un cambio in meglio, ma ci si sta avvicinando sempre di più verso la musica indie, che è fondamentalmente la nuova musica pop. Come autore bisogna puntare tutto su se stessi e per alcuni portati a farlo sarà molto facile, per altri meno avvezzi all’autocelebrazione sarà sicuramente più difficile. Una volta c’era più l’idea del mestiere del fumettista, ora sembra essere diventato più il mestiere dell’artista.

Ogni tua storia ha lo scopo di raccontare un una situazione, trasmettere un un messaggio. Con quest’ultima su cosa vuoi far riflettere l letitore?

Si tratta di un libro piuttosto critico e politico. Però non è una storia nostalgica, soprattutto non anti-moderna, nonostante la critica ai social network e al mondo digital. La mia speranza è quella di offrire al lettore un invito a vivere questi strumenti digitali in modo più consapevole, cercando di sfruttarli al meglio, piuttosto che venire sfruttati. Secondo il mio parere c’è bisogno di maturare e prendere più consapevolezza di questo mondo e delle sue potenzialità.

A proposito di strumenti digitali, quanto la tecnologia ha cambiato il modo di realizzare una graphic novel?

Allora da un punto di vista hardware, Microsoft ha influito in modo importante. Io stesso sono passato a lavorare direttamente col digitale, attraverso grandi fogli elettronici dove avviene il disegno vero e proprio. Ciò permette di trasportare molti meno materiali, disponendo semplicemente di una connessione internet. A livello comunicativo i social network hanno permesso a molti autori di farsi notare dai vari editori, cosa che non sarebbe stata possibile in precedenza, perché magari non allineati a un certo gusto editoriale del momento. Grazie alle vetrine personali, specie su Instagram, i social sono stati una rampa di lancio per diversi nuovi autori.