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Miti e verità sugli investimenti cinesi all'estero

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Gli investimenti cinesi all'estero sono cresciuti nel 2010 del 36,3%, rimanendo ben sotto la quota del 10% sul totale mondiale. Tanto? Probabilmente si, ma si tratta di cifre relativamente contenute. La Cina come è noto dispone di riserve per quasi tremila miliardi di dollari, una cifra enorme che...

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Gli investimenti cinesi all’estero sono cresciuti nel 2010 del 36,3%, rimanendo ben sotto la quota del 10% sul totale mondiale. Tanto? Probabilmente si, ma si tratta di cifre relativamente contenute. La Cina come è noto dispone di riserve per quasi tremila miliardi di dollari, una cifra enorme che permetterebbe a Pechino di “comprarsi il mondo”, idea che in realtà non sfiora neanche lontanamente i policy makers di Pechino. Nell’anno appena trascorso infatti i cinesi hanno investito nel globo meno di 60 miliardi di dollari, un terzo di quanto speso dagli USA e poco più della metà di quanto gli stranieri hanno investito in Cina (105 mld). Investimenti diretti che occupano (nel senso che procurano posti di lavoro) e preoccupano, destando paure irrazionali e alimentando falsi miti.

Il carrello della spesa cinese è pieno di scommesse essenzialmente strategiche. Il dragone compra un po’ di tutto, dai bond europei a quelli americani, ma azzarda più di altri paesi sui mercati emergenti sudamericani e asiatici; non si concentra più di tanto su rischiosi investimenti finanziari, focalizzato com’è nel mantenere e ampliare un controllo sulle materie prime. In africa per esempio Pechino sta sviluppando enormi reti infrastrutturali e grazie anche ai prestiti elargiti (superiori a quelli dell’FMI) detiene una golden share utilizzabile in diversi paesi. Nel complesso si può dire che le pressioni praticate dalla Cina sono enormemente inferiori alle potenzialità del capitale (investito o meno) a disposizione. Per ora i cinesi hanno preferito agevolare le aziende che scommettevano su di loro piuttosto che aprire il portafoglio. Una linea che verrà tenuta con ogni probabilità ancora a lungo. Mantenere la pistola in fondina non significa pero’ che non la si possa tirare fuori in un qualsiasi momento. Gli investimenti diretti all’estero non sono solo un mezzo per diversificare, fare pressioni, guadagnare. Utilizzati con coraggio possono addirittura diventare uno strumento di politica monetaria. Sotto quest’ottica in Cina potrebbero anche decidere un giorno di farsi più audaci e di monopolizzare interi mercati; l’unico rischio che corre quindi l’occidente è quello di vedere lo yuan rivalutarsi con ulteriore lentezza. Un costo decisamente contenuto rispetto agli enormi vantaggi che maggiori investimenti stranieri comporterebbero.

Riassumendo. Saranno anche cresciuti notevolmente, potranno pure basarsi su riserve monetarie enormi, influenzeranno forse le politiche economiche degli altri stati, ma gli investimenti cinesi rimangono comunque relativamente marginali rispetto al totale mondiale degli investimenti esteri, detenendone una quota inferiore a quella britannica(10%). La supremazia dell’occidente nelle relazioni diplomatiche e negli investimenti consolidati permette a europei e nordamericani di tenere un vantaggio non indifferente in termini di imperialismo economico. Almeno finchè a Pechino non diventeranno più aggressivi e meno parsimoniosi.