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Mondo giovanile: i contratti a termine impediscono il rilancio dell'economia

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Il problema del lavoro è sempre di più al centro delle questioni economiche, infatti, per poter realizzare un’adeguata ripresa economica c’è bisogno che l’occupazione cresca e diventi stabile per poter rilanciare l’economia in tutti i suoi aspetti. In altri tempi i giovani che finivano di...

Il problema del lavoro è sempre di più al centro delle questioni economiche, infatti, per poter realizzare un’adeguata ripresa economica c’è bisogno che l’occupazione cresca e diventi stabile per poter rilanciare l’economia in tutti i suoi aspetti.
In altri tempi i giovani che finivano di studiare, scuola o università che sia stata, potevano inserirsi nella società e nel suo tessuto, grazie al lavoro. L’impiego dava la possibilità di auto finanziarsi, di esprimersi, di realizzare un futuro possibile, ormai questa porta, ristretta da tempo, si è fatta ancora più angusta.
Il lavoro si è fatto sempre più instabile, incerto e insicuro. Troppi giovani, troppe persone perdono il lavoro e non riescono a trovare soluzioni adeguate, infatti, si teme sempre di più di non riuscire a varcare la soglia dell’occupazione. Tra le nuove generazioni cresce sempre di più il panico di vivere in un’incertezza che non ha sbocchi risolutivi, con l’impossibilità concreta d’inserirsi nel mondo sociale. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che ha radicato tra i giovani questa paura del futuro e ha suscitato sempre di più l’idea di fuggire da questo paese senza speranze.
Quando si domanda ai giovani qual è il maggior rischio che ritengono debbano superare, rispondono sempre che è il lavoro. Quasi esclusivamente di lavoro. Secondo l’indagine realizzata dalla Gioc (Gioventù operaia cristiana) insieme alla Fondazione Nord-Est – che hanno sentito tremila giovani con un’età compresa tra 15 e 35 anni – il 24,9% dei giovani mette al primo posto il rischio del lavoro precario. Nella stessa misura è sentito il timore di rimanere disoccupati, di non avere il necessario per vivere e di non riuscire a fare un lavoro adeguato al titolo di studio. Solo il 7 per cento ritiene di non correre alcun rischio.
«Di fronte a questa situazione alcuni non si arrendono e reagiscono – spiega Andrea Sterpone della Gioc -. Molti, non riescono a reagire da soli. Molti si trovano a dovere affrontare in solitudine le transizioni dalla scuola al lavoro e dal lavoro al lavoro. Assistiamo a una problematica di relazioni che non aiutano al momento delle scelti importanti».
Le angosce si diversificano a seconda del titolo di studio che ciascuno è riuscito a conseguire. Rinnovando anche l’idea che i giovani non sono un mondo uniforme ma complesso, di cui si deve conoscere i diversi contorni per poter individuare il modo migliore per aiutarli.
Il prevedere di restare senza un lavoro sono soprattutto quelli che hanno una qualifica professionale o che la scuola dell’obbligo non sono riusciti a terminarla mentre i laureati guardano con preoccupazione maggiore al rischio di ritrovarsi per troppo tempo a dovere fare i conti con un lavoro precario.
Andiamo ad analizzare la tipologia del rapporto di lavoro, infatti secondo una recente indagine dell’indagine dell’Istat, sono i laureati e i liceali i più coinvolti dal fenomeno dei contratti a termine, siano essi a progetto, occasionali o interinali. Mentre chi ha la qualifica professionale per lo più ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato. Ma tra questi ultimi uno su cinque lavora senza avere un contratto. A pagare sono soprattutto i giovani che non hanno il sostegno della famiglia, visto che a loro il sistema sociale ai giovani offre molto poco.
La domanda principale che emerge da questa situazione è quella delle conseguenze che ci possono essere in un contesto in cui i giovani si trovano davanti a un lavoro che sfugge, a uno scarso sostegno da parte di un welfare adeguato, quasi sempre finiscono per dovere ricorrere all’aiuto sistematico dei genitori.
Secondo Alessandro Rosina, professore di demografia alla Cattolica di Milano ed esperto del mondo giovanile ha detto che «l’Italia deve trovare subito una risposta al fenomeno se non vogliamo dire addio ai sogni di sviluppo e dinamismo economico». A questo si aggiunga che giovani rischiano di essere vittime di una specie di “ricatto affettivo”.
«Il forte legame tra genitori e figli e la carenza di politiche sociali – ci ha detto Alessandro Rosina – creano uno stato di dipendenza dei giovani dalla famiglia di origine che è sia di tipo economico ma è anche di tipo psicologico. I giovani venti-trentenni sanno di dipendere fortemente dai genitori. Grazie a loro trovano lavoro, grazie a loro si laureano e comperano casa. Senza contare che molti, una volta usciti, di fronte alle difficoltà rientrano nella famiglia di origine. In qualche modo i giovani finiscono per sentirsi in debito perché sanno che quello che stanno costruendo dipende in gran parte dalla famiglia d’origine. Negli altri paesi europei i ragazzi e le ragazze riescono a farcela da soli. Da noi non è così».
Per questo il mondo giovanile si trova in una impossibilità di dare voce ad una propria protesta per non danneggiare ulteriormente quella figura familiare che già vive una crisi sociale ampia e alla quale gli sono debitori per la loro sopravvivenza e per la sopravvivenza della famiglia stessa.