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Morgan sotto processo, richiesta dura condanna: la vicenda dello sfratto a Monza

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Morgan respinge l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale legata allo sfratto del 2019; la Procura ne chiede una condanna severa.

Il cantautore Marco Castoldi, in arte Morgan, è a processo per oltraggio a pubblico ufficiale in seguito allo sfratto della sua abitazione di Monza nel giugno 2019. La vicenda, diventata rapidamente un caso mediatico, ha acceso il dibattito sul confine tra libertà di espressione e rispetto delle autorità, mentre la Procura chiede una dura condanna.

Morgan: la difesa e le motivazioni dell’artista dopo lo sfratto

Difeso dall’avvocato Roberto Iannaccone, Morgan ha fornito una lettura dei fatti completamente diversa, sottolineando il momento di forte disagio emotivo che stava attraversando. L’artista ha spiegato di non aver riconosciuto gli agenti in borghese e di aver rivolto le sue parole sarcastiche “all’acquirente dell’appartamento e all’ufficiale giudiziario, non alla polizia”.

Ha spiegato di trovarsi in un momento di forte sofferenza, poiché stava lasciando non solo la sua abitazione, ma anche il suo studio di registrazione, il luogo in cui lavorava e conservava i suoi strumenti. Morgan ha sottolineato che le parole pronunciate erano il risultato di rabbia e dolore, e non avevano l’intento di offendere le forze dell’ordine, per le quali nutre rispetto.

Spetterà al tribunale stabilire se quanto detto costituisca oltraggio a pubblico ufficiale o se la condizione emotiva possa rappresentare un’attenuante.

Morgan, chiesta condanna a 9 mesi di carcere: il pesante retroscena sullo sfratto

La Procura di Monza ha avanzato la richiesta di una pena di nove mesi di reclusione nei confronti di Marco Castoldi, noto come Morgan, accusato di oltraggio a pubblico ufficiale. Il fatto contestato risale a giugno 2019, quando l’artista fu coinvolto nello sfratto della sua abitazione in via Adamello, a Monza, evento che assunse rapidamente risonanza mediatica.

Secondo l’accusa, l’artista avrebbe rivolto insulti agli agenti intervenuti, apostrofandoli con termini come “mostri”, “ignoranti”, “ridicoli” e paragonandoli a “boia” e “becchini”.

La vicenda, trasformata in un caso pubblico, ha portato all’apertura del procedimento penale e oggi attende la decisione del giudice Valentina Schivo, con la sentenza fissata per il 17 novembre.