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'Ndrangheta, lettera del 15enne alla figlia del boss: "Sono a vostra disposizione"

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Il procuratore Federico Cafiero De Raho ha arrestato più di cento calabresi, a seguito di un'inchiesta iniziata due anni da e portata avanti con i carabinieri del Ros "Mandamento Jonico".

La ‘ndrangheta colpisce anche a scuola, luogo apparentemente sicuro e che dovrebbe tutelare gli studenti. E’ successo due anni fa, più precisamente il 14 Marzo 2015: durante la ricreazione, un ragazzo consegna una busta bianca ad una compagna di classe contenente una lettera che citava le seguenti parole: “Buongiorno carissimo, come va? Spero tutto bene! Scrivo questa lettera perché per vari motivi non lo si può vedere… il motivo principale è che io sottoscritto vorrei mettermi a disposizione per voi e la vostra famiglia”. La lettera era indirizzata ad Antonio Cataldo, capo cosca di Locri e padre della ragazza. Ciò è successo all’Istituto professionale per l’artigianato di Siderno e il boss si trovava dietro le sbarre.

L’inchiesta iniziata due anni fa e gli arresti

L’inchiesta è stata portata avanti da parte del procuratore Federico Cafiero De Raho e dai carabinieri del Ros “Mandamento Jonico” ed ha condotto all’arresto di più di cento calabresi. Il procuratore sostiene che “con gli arresti abbiamo colpito il Mandamento jonico, quello che per antonomasia è il punto di riferimento, visto da tutto come il custode dell’ortodossia e delle tradizioni: San Luca, Locri, Africo Nuovo, Plati…”.

Nello specifico si trattava di una lettera di raccomandazione. La vicenda è stata scoperta grazie cimici dei carabinieri, la quali hanno colto la reazione diffidente dei parenti di Antonio Cataldo. La lettera è prima passata nelle mani della madre, la quale ha reagito: “Io non gli faccio vedere proprio niente (al padre, ndr)…quindici anni c’ha questo ragazzo! È venuto a portarmela in classe. Ma stiamo scherzando? La parentela da dove gli è uscita? Io la butto pure questa lettera. Che all’inizio me l’è venuto a dire la bidella, dicendomi ‘vedi che ti cerca tuo cugino…’. Io le ho detto che non siamo cugini, non so da dove gli è uscita questa cosa”.

Riguardo la vicenda, gli inquirenti si esprimono così: “Non può esserci attestazione più diretta e genuina dell’ammirazione di cui godeva il capo cosca Antonio Cataldo a Locri, come se il suo trascorso criminale fosse un esempio da emulare” e poi continuano con un pensiero sulle organizzazioni mafiose “La cultura mafiosa è talmente radicata in quel tessuto sociale che la scuola diventa il vettore attraverso cui la richiesta di affiliazione all’organizzazione mafiosa da parte di un quindicenne è stata veicolata al capo della cosca Cataldo”.