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No, cara Palombelli, non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire

Barbara Palombelli femminicidiBarbara Palombelli femminicidi

Davvero in nome dello spettacolo e utilizzando una più sfumata (e vigliacca) versione del "se l'è cercata" ci si può permettere di banchettare sui corpi delle donne uccise?

Innanzitutto c’è un dubbio, anche piuttosto fondato vista la canicola triste che ammanta certa televisione, certe trasmissioni e certe conduzioni in scadenza di contratto: se c’è bisogno di fare parlare di una trasmissione in questi tempi in cui la provocazione rimbomba tanto quanto fa schifo l’uscita di Barbara Palombelli è mediatamente perfetta per creare la confusione utile ad esistere. Poi in realtà ci sarebbe anche una questione morale, un limite al cannibalismo contro le vittime ma di moralità c’è n’è poca in tutta questa storia.

Accade che Barbara Palombelli, conduttrice della trasmissione Forum, si lancia in un monologo che è la summa della rivittimizzazione delle donne che sono uccise con feroce regolarità in questo Paese: «Sette donne uccise in sette giorni. Lecito chiedersi: questi uomini sono stati esasperati?», chiede Palombelli, riuscendo nella mirabile impresa di proporre un’inversione della realtà come se fosse una semplice curiosità.

E allora, cara Palombelli, sarebbe il caso di chiarirsi che no, non è lecito chiedersi se una donna abbia meritato di morire. Non è lecito per le donne e nemmeno per gli uomini perché nella sua domanda c’è di fondo questa feroce riabilitazione della vendetta che percorre questo nostro tempo, tutti intenti a sprecare tutte le energie per giustificare gli assassini e per voler instillare il dubbio che l’eliminazione fisica sia giustificabile. E qui sta il primo errore: non è lecito chiedersi se qualcuno si sia meritato di morire. Ci sono domande che riescono a essere immorali e Palombelli è riuscita a centrarne una in pieno.

Poi c’è un secondo aspetto fondamentale: affrontare il tema dei femminicidi (che è poi solo un capitolo di un tema molto più vasto che riguarda il patriarcato, il secolare intendimento della donna come oggetto da possedere e il delitto d’onore che è uscito dal codice penale ma non è per niente sradicato in certo pensiero comune) utilizzando una sfumata (e perfino più vigliacca) versione del “se l’è cercata” che è proprio una delle cause dei femminicidio e della mancanza di sanzioni e di leggi adeguate. Ritenere una vittima di un crimine parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto significa riconoscere una supposta “natura umana” legittimata all’abuso e alla sopraffazione: quella domanda contiene l’invito ad “adeguarsi” a qualcosa che invece è inaccettabile e che ha a che vedere con i desideri, le opinioni e soprattutto la propria libertà.

Cosa penserebbe Barbara Palombelli di eventuali reazioni alla sua “esasperante” domanda? Che dovremmo fare noi esasperati spettatori passivi di una trasmissione che è riuscita ad avere più commenti che spettatori? E poi: non è esasperante che una conduttrice televisiva abbia la dissennata idea di dire “sono domande che qui in tribunale dobbiamo porci” in uno studio di cartapesta con figuranti mal pagati che recitano goffi e le luci sparate in faccia? Davvero in nome dello spettacolo ci si può permettere di banchettare sui corpi delle donne uccise?

Infine un’osservazione, una di quelle osservazioni iperboliche che piacciono tanto a certa televisione: quanto è breve il passo tra il ritenere giustificazioni cose che non stanno il codice penale e il ministero contro il Vizio dei talebani a Kabul? E quindi i commercianti che esasperano la mafia non pagando il pizzo? Le vecchiette che esasperano gli scippatori lasciando ciondolare le proprie borse?

Cara Palombelli, siamo esasperati da lei. Però, per sua fortuna, abbiamo chiaro cosa sia il diritto, la libertà e la giusta misura di ogni reazione. Si goda questo magico momento in cui è stata incoronata ancella della peggiore fallocrazia.