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Montecitorio, battaglia tra i partiti sui compensi parlamentari: le posizioni

Meloni Giorgia

La notizia dell'aumento dell'indennità per i capigruppo dalla Camera pone le basi per una nuova battaglia sui compensi dei parlamentari: la proposta di M5s

Spaccatura a Palazzo Chigi. La notizia di giovedì 13 luglio sull’aumento dell’indennità per i capigruppo dalla Camera pone le basi per una nuova battaglia sui compensi dei parlamentari.

Il sigillo del Movimento 5 Stelle

Dando il via libera a un’indennità aggiuntiva per i capigruppo pari a quella già erogata ai presidenti di commissione (2.226,92 euro lordi al mese, 1269,34 euro netti), la delibera è passata con i voti del M5s e del centrodestra, mentre gli altri gruppi si sono astenuti. Se per il 2023 l’indennità aggiuntiva sarà a carico dei bilanci dei singoli gruppi parlamentari, a partire dal 2024 sarà erogata direttamente dalla Camera e le risorse necessarie saranno prelevate dal contributo concesso ai gruppi parlamentari: si tratta quindi di un’operazione a saldo invariato che non graverà sul bilancio della Camera. Il M5s rivendica il risultato:

«La proposta alternativa, che il M5S ha fermamente contrastato in collegio dei questori, prevedeva l’introduzione dell’indennità per i capigruppo con costi a carico della Camera e quindi dei cittadini. Abbiamo ottenuto una modifica sostanziale, spingendo le forze politiche di maggioranza ad accettare lo schema da noi proposto e a votarlo in Ufficio di Presidenza: le indennità dei capigruppo non devono essere a carico degli italiani ma, eventualmente, dei gruppi parlamentari. La proposta passata alla Camera è a saldo zero».

Quasi tutti i diretti interessati hanno rinunciato all’aumento. Lo riferisce il capogruppo FdI a Montecitorio Tommaso Foti:

«L’ufficio di Presidenza della Camera ha stabilito, senza alcun voto contrario, di attribuire ai capigruppo un’indennità pari a quella percepita dai presidenti di Commissione, la più bassa tra quelle in vigore. Con una sostanziale differenza: quella riconosciuta ai capigruppo non comporta alcun aggravio di spesa al bilancio della Camera. Tuttavia, ritengo che sia giusto lasciare ai destinatari della misura la possibilità di rinunciare alla stessa, cosa che faccio senza difficoltà alcuna».

Non manca la voce del leader del M5s Giuseppe Conte che, riferendosi al voto sull’approvazione del bilancio di Montecitorio previsto per giovedì 20, commenta su Facebook:

«Continueremo anche la nostra storica battaglia contro i costi della politica: dopo avere evitato che l’adeguamento degli stipendi per i capigruppo – che noi non prenderemo – fosse a carico degli italiani, abbiamo presentato altri due ordini del giorno alla Camera che verranno messi in votazione giovedì prossimo in occasione dell’approvazione del bilancio. Uno per scongiurare gli aumenti degli stipendi dei deputati e, anzi, per ottenerne la riduzione, l’altro per evitare che si ripeta alla Camera lo scempio sui vitalizi di qualche giorno fa al Senato».

La proposta sugli stipendi

Per il M5s le cifre attuali sono eccessive e vanno pertanto abbassate. La richiesta di Francesco Silvestri è quella di equiparare gli stipendi dei parlamentari non più a quelli dei magistrati ma a quelli dei dipendenti della pubblica amministrazione «il cui trattamento massimo annuo lordo risulti radicalmente inferiore».

Nello stesso ong, si invitano inoltre l’ufficio di presidenza e il collegio dei questori «a non procedere all’adeguamento periodico delle indennità, se non per ridurle poiché – si ricorda – dal 2006 sono state approvate delibere biennali alla Camera e in Senato per non aggiornare gli importi, come invece avviene periodicamente per gli stipendi dei giudici di Cassazione».