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Perché il taglio dei parlamentari è come il sexting che soddisfa ma non risolve?

taglio dei parlamentari

Mentre esultano le masse che fanno i conti a traino dei social, si consuma l'ennesimo capolavoro di capracavolismo italiano.

A ben vedere di motivi ce ne sarebbero millemila ma uno su tutti balza: perché con il sexting vai a meta rapido e completo, ma senza imparare e ti sporchi le mani solo col tuo. Alzi la mano, anche fra gli sparagnini eticheggianti che inneggiano al provvedimento, chi non ha solo per un maledetto attimo pensato che il taglio di 300 e passa parlamentari non assomigli a quelle strane mele ibridate colte in valli improbabili dove la buccia cambia colore ma la polpa se sempre solo di mela.

E il sexting è a ben vedere in ardita metafora, un po’ la stessa cosa: ciurli nel manico con una (o uno) che ti chiede di vedervi da due ere glaciali ma non rinunci ad appendere lo scalpo. Ne consegue che, per un sottile gioco di equilibri in cui convivono l’ormone scatenato e la paura di fare sul serio, devi trovare una soluzione mediata e comoda.

Taglio dei parlamentari, capolavoro di capracavolismo

Il capracavolismo italiano, che è bestia antica, te lo piazzi come ministrante d’amplesso e ti ritrovi a scrivere cialtronate lerce in chat mentre, fra un “se potrei prenderti ora…” e il grandangolo che ti salva l’onore del dindarolo immortalato con bidet di sfondo pensi che sì, anche stavolta sei andato a meta, e datemi un paio di forbici giganti o amici ché qui si canta vittoria e abbiamo risparmiato un fracco di energie e danè da spendere in cene.

A fare la tara alle forbici, che con i dindaroli non hanno mai avuto un buon rapporto, la storia del taglio dei parlamentari è paro paro quella del sexting. Di Maio gode nell’imo delle mutande, i soldi risparmiati sono mantra potente per le masse che i conti li fanno a traino dei social e non per conto loro e nessuno si è sognato di capire o rovellare sul fatto che i problemi erano e sono altri.

Però la faccenda ha quel sapore di facciata che solo i gridolini alla fine del sesso virtuale sanno dare. Si è sparato dritti a pallettoni alla coratella del Paese, partner grullo che attendeva solo salve popular, con un provvedimento che spiattella un risultato tromboneggiante ma non si è inquadrato in tacca di mira il nocciolo della questione, quello che comporta lo sforzo e che alla fine ti educa, ti istruisce, e ti risolve il problema.

Il problema irrisolto

Quale problema? Quello, per restare in tema dindarolesco, che riconduce dritto dritto all’invidia del pene a sessi unificati. Quello che porta un concetto ad essere accattivante e validabile in un sistema complesso perché è come la frutta marcia per i beccafichi, un concetto che trova cittadinanza soprattutto per il gusto tutto malignuccio di sapere che ci saranno 300 persone in meno a fare cose, non necessariamente abiette ma elitarie, che saremmo stati noi i primi a fare se su quelle poltrone ci fossero stati i nostri culi. Quello che ci ha portato a privilegiare la buccia alla polpa, il proclama sudaticcio all’intervento strutturale, la cesoia contro la casta e la democrazia parlamentare invece di un onesto e corale abbraccio pacificatorio con una moralità che ci siamo scrollati di dosso.

Ma abbracciare costa, abbracciare significa capire quali soni i punti giusti da toccare, abbracciare alla fin fine rischia di risolvere. Meglio prendersi uno scatto del dindarolo e aspettare trepidanti e sudaticci che sulla casella degli italiani compaia un morboso “…sta scrivendo”. Al resto ci penseranno i fazzolettini di carta che in certe situazioni non mancano mai.