> > La casa di Elisabetta Trenta e l’Europa che il conformismo non ama raccontare

La casa di Elisabetta Trenta e l’Europa che il conformismo non ama raccontare

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L'informazione italiana si è scatenata contro Elisabetta Trenta con un'inchiesta relativa al suo alloggio: è davvero questa la priorità sul ministro?

Fra tutte le sentenze di Mao Tse Tung una ho sempre trovato ripugnante: “bastonare il cane che affoga”. Sì, è una metafora che insegna a colpire il quartier generale del nemico quando questi si trovi a essere in difficoltà (non crediate appartenga al solo feroce secolo scorso: i 99 Posse la citarono riferendosi a Berlusconi), ma è una metafora orrenda e, alla lettera, impietosa. Nel nostro bell’idioma abbiamo un modo di dire assai più generoso, anche perché legge la metafora con lo sguardo della vittima e le sue parole: quelle pronunciate quasi cinquecento anni fa da un Francesco Ferrucci inerme davanti a Maramaldo che stava per finirlo: “tu uccidi un uomo morto”.

Bene, vedo sui giornali grandi titoli e servizi sull’alloggio goduto dall’ex ministro della Difesa Trenta per pochi euro al mese, e sui maldestri tentativi di continuare pur da ex a goderne l’usufrutto facendo intestare al marito, maggiore dell’Esercito, l’assegnazione. Bene, notizie vere e dovute. Resta qualche dubbio: la notizia ha inevitabilmente come fonte qualche militare che non amava particolarmente il ministro, ed è per così dire condita dal dettaglio del cane della Trenta portato al ministero e dogsitterato da qualche impiegato (come si è capito amo i cani ed è un dettaglio che casomai mi rende più umana un ministro del resto molto italiano nell’indossare i panni del privilegio, compreso quello nobile di tenere il cane anche sul posto di lavoro).

Ma è impossibile non domandarsi quale spregiudicatezza improvvisa abbia baciato il rospo dell’informazione italiana trasformandola in una principessa dell’inchiesta? Come molti giornalisti che hanno percorso le strade polverose di Nassiriya, conoscevo almeno per sentito dire il passaggio della Trenta al Governatorato, quale ufficiale della riserva selezionata. Sapevo che era stata congedata senza troppi complimenti, e conoscevo persino i soprannomi che le avevano affibbiato, su cui sorvolo per eleganza. Quando venne nominata ministro me ne stupii, e archiviai la cosa come un segno dei tempi, todos Caballeros.

Ma perché quel curriculum non ci venne raccontato dall’informazione italiana? Era pur sempre un ministro in carica, e forse non bisogna svegliare il ministro che dorme, meglio aspettare che si agiti sul filo dell’affogamento. Ma non è che adesso torna utile, quella notizia vera e necessaria, per dimostrare che quello era un vecchio governo e adesso c’è un’aria nuova, e la questione Trenta è solo una piccola pietra d’inciampo per i 5 Stelle, e un retaggio dell’ancien régime? Allora vorrei segnalare al conformismo di un’informazione che è riuscita a ricordare il crollo del Muro di Berlino come se non fosse appartenuto a nessuno, non imponesse dei ripensamenti, delle riflessioni sul passato (morto il muro e scomparsi i muratori…) una questione di non poco conto: alla Farnesina c’è un inquilino, Di Maio, che evidentemente conosce poco i dossier, ed è persino poco appassionato di politica estera, preferisce temi interni.

E dunque il potere di continuità sta tutto nelle mani del Segretario Generale. Che è un’ottima persona, che è stata la prima donna a dirigere l’Unità di Crisi e la prima responsabile della Cooperazione, ma non ha mai retto un’ambasciata. Che è stata nominata in articulo mortis da Paolo Gentiloni, ma anche protagonista di indiscrezioni che la candidavano a un ruolo di ministro in un governo tecnico o in un governo con i 5 Stelle. E allora se facessi ancora il giornalista è a Lei, non al ministro in carica, che rivolgerei la domanda: è vero che il drone italiano (un po’ troppo grosso per essere addetto alla sola sorveglianza dell’area in cui si trova l’ospedale italiano) è stato abbattuto in Libia da un missile terra aria di produzione francese? Capirlo ci aiuterebbe a capire che se Egitto e Arabia Saudita e Francia stanno con il generale Haftar, noi stiamo con Serraj, con l’ottimo Erdogan, il generoso Qatar e con la benedizione della Nazioni Unite, dall’altra parte, non solo con medici e infermieri. Questa è l’Europa che il conformismo non ama raccontare.