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Rimane in carcere Federico Gaibotti: l'uomo accusato dell'omicidio del padre per un iPad

Il 30enne ha ucciso con almeno sei coltellate il padre perché voleva il suo iPad per saldare un debito da 200 euro

Il 30enne ha ucciso con almeno sei coltellate il padre perché voleva il suo iPad per saldare un debito da 200 euro

Rimarrà in carcere Federico Gaibotti, il 30enne accusato di omicidio volontario aggravato per aver ucciso il padre Umberto nel pomeriggio di venerdì 4 agosto a Cavernago, in provincia di Bergamo.

L’avvocato del giovane, Miriam Asperti, aveva richiesto per lui il trasferimento in una comunità di recupero visti i suoi problemi di tossicodipendenza, ma il gip Vito di Vita, che lo ha ascoltato nella mattinata del 7 agosto, ha convalidato l’arresto e disposto un approfondimento della perizia, già stata avviata in precedenza in un altro contesto.

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La ricostruzione dell’omicidio

Quando Federico Gaibotti è arrivato alla villetta del padre, lui non era a casa. Il 30 era passato a prendere l’iPad, con cui intendeva saldare un debito di 200 euro, che avrebbe consegnato a una ragazza che lo stava aspettando in una macchina parcheggiata poco lontano dall’abitazione.

Prima di entrare in casa, il 30enne ha parlato con una vicina del padre dicendole che si sarebbe presto tolto la vita. Al rientro del padre, i due hanno litigato per l’ennesima volta. Il corpo dell’uomo è stato poi recuperato dai carabinieri nel giardino della villetta, ucciso da almeno sei coltellate. Il 30enne è stato bloccato poco dopo dai militari con addosso ancora i vestiti sporchi di sangue. I carabinieri hanno sequestrato tre coltelli: il giovane dice di aver comprato uno di questi in un negozio gestito da cinesi poco prima dell’omicidio, e lo avrebbe fatto con l’intenzione di usarlo per uccidersi.

Le parole del legale e il passato di Gaibotti

«È emersa una situazione di forte disagio, è molto provato e sofferente per la sua condizione, ha avuto un momento di cedimento», sono queste le parole dell’avvocato Asperti dopo l’interrogatorio di convalida.

Davanti al giudice, Federico Gaibotti ha raccontato quanto accaduto venerdì pomeriggio, dopodiché il 30enne avrebbe detto: «Non valgo più niente».

Già in passato, Federico Gaibotti aveva avuto qualche problema con la giustizia. Lo scorso luglio era stato condannato a sei mesi, con pena sospesa, per tentata violazione di domicilio nei confronti della madre, e per lesione e resistenza ai carabinieri.

La donna aveva accettato di ospitare il figlio a patto che lui andasse in una comunità a disintossicarsi. Una sera di fine giugno uscì di casa e, dopo che la madre gli aveva proibito di rientrare, il 30enne tentò di balzare dentro. Il giovane venne fermato da un carabiniere, che si ferì nel tentativo di bloccarlo, e venne arrestato e processato per direttissima. Pentito per quanto aveva fatto, Gaibotti offrì 250 euro di risarcimento al militare, somma che venne pagata dal padre che aveva detto all’avvocato: «Non posso aiutare mio figlio».

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