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Coronavirus, uno studio conferma: è mutato, infetta più facilmente

Coronavirus, lo studio conferma: è mutato

Uno studio su Cell dimostrerebbe che il virus è mutato: se confermato, si dovrebbero rivedere le sperimentazioni sul vaccino. Ecco perché.

Il coronavirus è mutato e infetta di più: lo confermerebbe uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Cell. I risultati sono stati presentati da uno studio condotto nel Laboratorio Nazionale di Los Alamos con il Centro di Ricerca Biomedica dell’Università di Sheffield, l’Istituto sui Vaccini dell’Università Duke e l’Istituto di Immunologia di La Jolla. La ricerca è stata condotta su 6mila sequenze genetiche del coronavirus, poi revisionata su 30mila. I pazienti coinvolti nello studio sono quasi mille.

Il coronavirus mutato? Lo studio: infetta maggiormente

La ricerca ha dimostrato che il Sars-CoV-2 ha subito delle mutazioni rispetto a quello originario. La principale riguarda la proteina Spike, deputata ad “agganciare” il virus alla cellula ospite. Stando allo studio, la proteina S infetterebbe più facilmente le cellule umane. Il coronavirus mutato sarebbe, quindi, più trasmissibile e con una carica virale maggiore nei positivi infetti. La variante genetica più contagiosa è la D614G: si tratta di una glicoproteina utilizzata dal Covid-19 per legarsi al recettore ACE2 della cellula umana. La sua efficacia permette di penetrarvi e riversare l’RNA del virus che si replica, dando inizio all’infezione. Gli autori dello studio hanno evidenziato che talvolta chi è infettato dalla nuova variante, presenta una capacità infettiva maggiore. Lo studio non dimostra una correlazione con la sintomatologia: ciò significa che non sempre i sintomi del “virus mutato” sarebbero più gravi.

Perché lo studio è importante

Se confermati i risultati appena pubblicati, gli studi attuali sul vaccino potrebbero essere rivisti. Molte sperimentazioni in corso, infatti, mirano a colpire proprio la proteina Spike: se questa fosse mutata, u vaccino così mirato potrebbe non essere efficace. Inizialmente, lo studio fu criticato durante il processo di revisione: per questo, il team di scienziati ha lavorato ampliando i test e i campioni di riferimento. Nella prima versione, i test erano stati effettuati su 470 pazienti: oggi su mille ricoverati. La maggiore infettività è stata riscontrata in esperimenti con cellule umane in provetta: è stato osservato che i ceppi con la glicina al posto dell’acido aspartico infettano le cellule umane dalle 3 alle 6 volte di più.

Per ora, i risultati dello studio sono presentati come ipotesi che necessitano di ulteriori approfondimenti. Se confermati, getterebbero luce sulle modalità di ricerca di un vaccino efficace. Come dichiarato dalla dottoressa Sara Platto su Notizie.it, si dovrebbe pensare a un cura piuttosto che esclusivamente a un vaccino.