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Graziella Mansi: la bimba di 8 anni bruciata viva per gioco

Graziella Mansi

E' una vecchia storia, ma che fa sempre inorridire. Graziella Mansi, 8 anni, venne bruciata viva da dei pedofili solo perché si annoiavano.

Graziella Mansi

Per parlare della tragica fine della breve vita di Graziella Mansi bisogna tornare al 19 agosto del 2000. A Castel del Monte, in Puglia, vive la piccola Graziella Mansi con la sua famiglia: mamma, papà, nonno e le due sorelline più piccole, di 6 e 3 anni. E’ solo una bambina di 8 anni, ma c’è già qualcuno che le ha messo gli occhi addosso. Nessuno sapeva, infatti, che a Castel del Monte e ad Andria, paese vicino, c’era un circolo di pedofili, composto principalmente da Pasquale Tortora, Giuseppe Di Bari, Michele Zagaria, Domenico Margiotta e Vincenzo Coratella. Pasquale Tortora lavora nei pressi dell’esercizio commerciale del papà di Graziella: la vede tutti i giorni; i suo compagni lo prendono addirittura in giro dicendo che si è innamorato della bambina. Ma nessuno ancora poteva immaginare la tragedia del 19 agosto, quando la sera Graziella fu mandata dal padre a prendere l’acqua alla fontanina poco distante.

Rapita e bruciata viva

Il gruppo di pedofili, capeggiato da Pasquale Tortora, si aggirava annoiato nei paraggi. Vedono Graziella Mansi prendere l’acqua alla fontana e hanno come un’illuminazione: vogliono portarla nel bosco e torturarla un po’. Nulla di eccessivo, diranno poi dopo l’arresto: si annoiavano e volevano solo “giocarci” un po’. Pasquale si avvicina alla bambina e la porta via con i suoi amici. Arrivati al sicuro nel bosco, iniziano a punzecchiarla, a torturarla. Tentano anche una violenza sessuale di gruppo, ma non è quello l’espediente che toglie la noia. Continuano a voler giocare con la bambina, in modo sempre più pericoloso. Nessuna tortura, nemmeno sessuale, li soddisfa. Tentano qualcosa di più: vogliono metterla sul fuoco e bruciarla viva. Raccolgono rami secchi e sterpaglia, accendono il fuoco e poi tutti insieme tengono fermi Graziella sul fuoco accesso. All’inizio la bambina cerca di divincolarsi, grida di dolore ma poi è tutto finito e la vedono come sciogliersi sul fuoco.

Le indagini

Alla sparizione di Graziella Mansi i genitori chiedono l’aiuto delle forze dell’ordine e la prima ipotesi è proprio quella del rapimento di gruppo. Ma, in quello che in seguito poteva sembrare addirittura un quadro ottimistico, tutti pensavano al rapimento per pedofilia. Quando trovarono i resti di Graziella nel bosco si trovarono davanti a uno spettacolo che non avrebbero potuto immaginare nemmeno nel peggiore degli incubi. Paradossalmente il ritrovamento del corpo carbonizzato di Graziella Mansi fu in parte dovuto persino a Pasquale e ai suoi amici. Furono inizialmente fatte squadre di ricerca, a cui parteciparono anche Pasquale e gli altri per cercare di deviare le ricerche lontano dal corpo. Ma poi Pasquale Tortora diede una versione del racconto lacunosa e zoppicante; si capì subito che doveva essere uno dei colpevoli. Alla fine Pasquale Tortora confessò, ma dicendo di essere stato l’unico e il solo assassino di Graziella Mansi, di aver agito da solo.

Gli arresti

Non venne mai creduto. Non furono trovati segni di bruciatura sul corpo o sui vestiti di Pasquale Tortora e, nonostante affermasse di aver tenuto ferma la bambina sul fuoco col piede, tutto faceva capire che non poteva aver agito da solo. Le indagini proseguivano e Pasquale venne messo alle strette, finché iniziò a fare dei nomi. Prima fece un paio di nomi inesistenti, ma poi si arrese e tirò fuori i nomi dei suoi veri complici. Arrestati anche loro, si arrampicarono sugli specchi per un bel po’, dando versioni false e sconnesse della storia, ma poi si arresero e ammisero la verità. Fu la verità più agghiacciante mai sentita: avevano torturato, violentato e bruciato Graziella Mansi solo perché si annoiavano. Non avevano niente da fare e perciò la presero. Non avevano davvero voglia di violentarla, non avevano in mente di ucciderla davvero, ma lo fecero.

Il processo

Vennero infine portati in tribunale. Pasquale Tortora, che fu il primo a confessare, venne condannato a 30 anni e per lui non ci fu mai un tentativo di revocare il giudizio. I suoi complici, invece, inizialmente condannati, ricorsero in appello nel 2009. Cambiarono la versione del racconto e dissero di non essere stati presenti al momento dell’uccisione di Graziella Mansi e per questo erano innocenti. Avevano già pensato, evidentemente, di finire in processo, perché le prove che portarono risalivano al 19 agosto del 2000. Secondo i video di sorveglianza di una banca del paese i complici di Tortora si trovavano, al momento dell’omicidio, in mezzo al paese. Non calcolarono, però, con precisione l’orario. Confrontando l’ora riportata dalle telecamere di sicurezza e il tempo che avrebbero impiegato a tornare dal bosco alle proprie case, cambiarsi e poi scendere in paese si vede che avrebbero fatto pienamente in tempo. Un ultimo tentativo per non essere condannati, ma non si scappa: sono loro gli assassini di Graziella Mansi e dovranno pagare per questo. Il dolore dei genitori di Graziella fu forte e forse ancora oggi, dopo 17 anni, pensano ancora alla loro bambina andata via troppo presto.

(Ai giorni nostri un’altra bambina coinvolta in un problema di gran lunga minore: “Bimba respinta dall’asilo, la mamma: ‘Voglio vaccinarla, non voglio consegnare l’autocertificazione’“)