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Contanti: stop in busta paga dal 1 luglio. Le eccezioni

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Scatta lo stop dell'uso dei contanti in busta paga. La norma è inserita nella legge di bilancio. Alcune categorie di lavoratori sono esonerati.

Giro di vite sull’uso dei contanti. Anche se il vicepremier Matteo Salvini non è molto concorde sul fatto che le persone non possano pagare come meglio credono. Fatto sta che la passata legge di bilancio ha imposto l’obbligo della tracciabilità degli stipendi. Dal 1 luglio 2018, quindi, stop ai contanti in busta paga. In caso contrario, scatterrano multe molto salate che vanno dai mille ai cinquemila euro. Alcune categorie lavorative però sono esentate.

Tracciabilità e contanti

La passata legge di bilancio ha introdotto un provvedimento che cambierà la vita di molti lavoratori e datori di lavoro. La legge di bilancio è quel provvedimento con cui il governo, ogni anno, informa il Parlamento sulle spese pubbliche e le entrate previste per l’anno successivo. A differenza della legge di stabilità, non può introdurre nuove tasse e tributi. Il vecchio esecutivo ha deciso di conteggiare come maggiori entrate anche quelle derivanti dalle retribuzioni, inserendo una norma pensata per contrastare il lavoro in nero.

Dal 1 luglio 2018, infatti, cambiano le regole per i datori di lavoro. Per loro scatta l’obbligo della tracciabilità degli stipendi. Fra pochi giorni, quindi, il lavoratore dipendente non potrà più ricevere la propria retribuzione in contanti. Tutti gli stipendi dovranno essere difatti pagati tramite bonifico o strumenti di pagamento elettronico (per esempio PayPal). In alternativa, i contanti potranno essere ritirati solo allo sportello di una banca o di una posta. Esiste ancora la possibilità, invece, di pagare tramite un assegno.

In caso di violazione, scatteranno multe pesanti. Se un datore di lavoro verrà scoperto infatti a pagare un suo dipendente in contanti potrebbe essere sanzionato con pene che vanno dai mille ai cinquemila euro. La multa può essere ridotta di un terzo se verrà pagata entro 60 giorni dal verbale di contestazione. La misura è stata pensata per arginare il fenomeno del lavoro in nero ma anche per prevenire quello delle false buste paga. Alcuni datori di lavoro difatti corrispondono in contanti al dipendente una somma inferiore a quella scritta in busta paga, magari sotto l’intimidazione del possibile licenziamento.

Chi è esonerato

La norma inserita nella scorsa legge di bilancio impone che “ogni rapporto di lavoro subordinato indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa” non venga retribuito in contanti. Il provvedimento si applica anche ai contratti a tempo determinato, ai contratti part time e alle collaborazioni coordinate e continuative. Stesso discorso per il lavoro a intermittenza o a chiamata e a tutti i tipi di contratto instaurati dalle cooperative con i propri soci.

Una fetta di lavoratori invece potrà continuare ad essere pagata in contanti. La legge infatti esonera i rapporti di lavoro con la Pubblica amministrazione ma anche chi lavora come come colf, baby sitter o badanti. Si potranno pagare cash anche i compensi per gli stage.

Salvini e Di Maio sull’uso dei contanti

In una recente intervista il vicepremier Matteo Salvini aveva criticato sia la “fatturazione elettronica” sia “ogni tipo di coercizione”. “Fosse per me – aveva aggiunto – non ci sarebbe alcun limite alla spesa in denaro contante perché ognuno è libero di usare i suoi soldi del suo conto corrente come vuole, dove vuole, pagando quello che vuole”.

Non la pensa così invece il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che ricorda all’alleato di governo che l’abolizione del tetto del contante non è prevista nel contratto stipulato ad inizio mandato dai due leader. Un modo elegante per far capire che sul tema non ci sono margini di discussione.