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Coronavirus, l'operatrice sanitaria in terapia intensiva: il racconto

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È di un'operatrice socio sanitaria ricoverata in terapia intensiva all'ospedale di Cremona il racconto in cui emerge com'è vivere con il coronavirus.

Nei bollettini che ogni sera vengono diramati dalla Protezione Civile in merito ai nuovi contagi dell’emergenza coronavirus emerge tra gli altri dati anche il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva: una cifra che si aggira sempre intorno al 10% dei casi positivi. Tra questi c’è anche un’operatrice socio sanitaria di Codogno, di nome Alessandra, che ha voluto raccontare ai giornalisti del Corriere della Sera la sua esperienza da malata di Covid-19: impossibilitata a muoversi, parlare e respirare in maniera autonoma.

Coronavirus, la vita in terapia intensiva

La donna, di 56 anni di età e impiegata come operatrice socio sanitaria presso una casa di riposo di Maleo (comune della zona rossa) inizia così la sua testimonianza: “Sono ricoverata da dieci giorni. Le mie condizioni sono peggiorate: sono svenuta in due occasioni, sono a letto sotto ossigeno e assumo la terapia mattina e sera, oltre a quella endovenosa fissa. La febbre da due giorni non c’è più, ma i polmoni hanno bisogno di aiuto”.

La 56enne ha spiegato di aver iniziato a sentirsi male dopo un turno di notte al lavoro, ma pensando fosse soltanto una semplice influenza. Dopo nove giorni di febbre alta che non accennava a passare, i figli della donna hanno richiamato l’ospedale facendo venire un’ambulanza: “Ho avuto un primo ricovero a Cremona in un poliambulatorio adibito ad ospedale da campo con brandine della Protezione civile. Ho fatto li i primi esami. Quando ho avuto il risultato mi hanno spedita negli infettivi”.

La degenza in ospedale

A questo punto Alessandra racconta gli interminabili giorni passanti in terapia intensiva, con il contestuale ricovero dei familiari che sono entrati a contatto con lei: “Sembrava di stare in un girone dell’inferno. Te lo dicono ma non capisci cosa ti aspetta ed è meglio così. La cura ti ammazza. Piega il tuo corpo, il mal di stomaco con nausea e vomito è lancinante, la febbre ti fa bruciare. […] Lunedì è stata la mia giornata peggiore. Impotente davanti al ricovero di mio marito, in terapia subintensiva a Lodi. Non vedevo via d’uscita. Mi sentivo soffocare. Avrei voluto urlare, perché a Lodi è già ricoverato anche mio papà”.

Parlando invece del ricovero ospedaliero, la 56enne spiega di essere in stanza assieme ad una donna più giovane, ricoverata anch’essa da 12 giorni: “Non è ammessa alcuna visita. La stanza ha due letti, ma la tv è girata verso l’altro letto, solo lì c’è l’auricolare. Il tempo non passa mai. […] Entrano al mattino per la visita e sono gentili e disponibili. Il personale anche, ma ha disposizione di entrare il meno possibile. A volte bussano dal vetro”.

Il pensiero alla famiglia

Alla domanda su come possa aver contratto il virus, la donna risponde: “La bidella della scuola di mia nipote è risultata positiva. Le parlavo mattina e pomeriggio. Anche l’impiegata della Rsa dove lavoro è stata contagiata e ricoverata sempre qui a Cremona. Ma l’ho saputo dopo. Oppure l’ho preso altrove senza saperlo”.

Come ultimo pensiero, ad Alessandra viene chiesto quali siano i pensieri a cui va la sua mente per cercare di superare questo difficile momento: “Ai miei due figli, a mio marito. Ha 58 anni, con i suoi splendidi occhi azzurri ha rallegrato le nostre vite da quando ci siamo sposati. A maggio saranno 33 anni… A mia nipotina di 8 anni che mi ha mandato via telefono un disegno. Ha riprodotto la stanza e le terapie, tutto con l’immaginazione. Ora capisce”.