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Il Coronavirus non ci ha resi migliori, l'odio per Silvia Romano lo dimostra

Silvia Romano

Mentre va in scena la rappresentazione mediatica della fraternità di un popolo che nei momenti difficili Covid ritrova la sua coesione, scorrono i titoli di coda di ogni senso dell'umanità.

Ignoranza, disperazione, noia. Ma anche disprezzo per la vita umana e cattiveria pura. C’è un miscuglio micidiale dietro l’odio vomitato sui social contro Silvia Romano. La campagna di denigrazione gratuita è cominciata ancor prima ancora che la giovane cooperante milanese posasse piede a Ciampino, dopo un anno e mezzo nelle mani di terroristi senza scrupoli, con la richiesta della cifra sborsata per il suo riscatto, come se fosse stato tolto un euro dal loro conto. Gli stessi professionisti dell’odio, dell’insulto e del qualunquismo le hanno poi rimproverato che in fondo se la sia cercata, andando a spendere il proprio tempo nelle zone del pianeta dove risiedono gli ultimi del mondo. Infine hanno contestato anche la scelta di una conversione religiosa. Il tutto comodamente spaparanzati sul divano, con lo smartphone in mano, senza sapere nulla di come sia effettivamente trascorsa la sua prigionia, né conoscere la sua storia personale, la sua formazione, i suoi ideali, dove abbia tratto il conforto e il coraggio di guardare avanti, di continuare a vivere e a sperare in 18 interminabili mesi di sequestro.

Una ragazza di 23 anni che anziché andarsi a fare lo spritz sui Navigli o passare le giornate a chattare con lo sguardo incollato sul cellulare ha deciso di dedicare ai più deboli, ai bambini orfani, la propria energia, la propria passione, la propria vita. Un gesto volontario, spontaneo, disinteressato, nobile da qualunque punto di vista politico, sociale o religioso lo si voglia inquadrare. E invece, mentre in questi giorni va in scena la rappresentazione mediatica della fraternità di un popolo che nei momenti difficili come l’emergenza Covid ritrova la sua coesione, mentre va in onda la sceneggiata dell’Italia unita che resiste, campione di solidarietà e altruismo; contemporaneamente, dall’altra parte, scorrono i titoli di coda di ogni senso dell’umanità, va in scena lo scempio di ogni vetta culturale toccata da un paese che tanti leoni da tastiera sostengono pure di amare, va online la disgregazione sociale, il rancore senza direzione, che ha bisogno sempre di nuovi obiettivi da attaccare, di nuove figure da divorare – che siano i cinesi mangia topi o le “risorse” della Boldrini – di nuove vittime sacrificali sull’altare dell’analfabetismo etico e morale.

Silvia Romano rientra in Italia_ dilaga l'odio sui social

Utenti gonfi di quella presunzione che in Rete rende tutti economisti, virologi e ora anche 007, che discettano sull’entità dell’importo e sulla fine che faranno quei soldi eventualmente versati, mentre vivono nel paese leader nella corruzione e nell’evasione fiscale, dove si architettano truffe senza scrupoli pure sulle mascherine. Probabilmente non si rendono neanche conto del becero cinismo, dell’indifferenza verso il prossimo che trasudano i loro commenti, dell’abiura di ogni valore che avrebbe dovuto esser introiettato dall’educazione familiare e dall’istruzione scolastica. È scioccante l’assenza di ogni minima capacità empatica di immedesimazione nell’angoscia dei familiari di Silvia, sfoggiata con leggerezza e senza vergogna da parte di persone che sono a loro volta madri, padri, figli: gli stessi dello slogan “aiutiamoli a casa loro”, e che magari riparano l’orco che nutrono in petto dietro foto di gattini e cagnolini, camuffandolo sotto invocazioni a santi e preghiere a Dio. Prigionieri, loro sì, del loro cinismo e della loro meschinità accattona.

Viene da chiedersi sul serio in che razza di paese abitiamo, in mezzo a chi muoviamo i nostri passi, chi è che ci circonda. Un’assolutezza di giudizio sull’altrui libertà di scelta e una lapidarietà nella condanna del diritto di ogni essere umano all’autorealizzazione, che non sono diversi da quelli degli assassini, dei boss mafiosi, dei nazisti. Nella scena finale di Schindler’s List il protagonista si dispera per essersi dimenticato di vendere agli aguzzini un ultimo anello rimastogli al dito: avrebbe significato un’altra vita umana salvata. Qualunque cifra sia stata pagata, la vita umana non ha prezzo. E chi salva un solo uomo, come recita un testo sacro citato in quel film, salva il mondo intero. L’unica cosa che deve interessarci è che Silvia stia bene, non abbia subito violenze e sia stata riconsegnata agli affetti da cui era stata strappata. Dobbiamo essere solo felici della capacità della nostra intelligence nel riportare a casa i nostri connazionali perché anche a noi, un giorno, potrebbe capitare la sventura ro di essere rapiti, magari in un luogo di villeggiatura in Africa, o di essere incarcerati ingiustamente all’estero.

I commenti contro Silvia Romano

Fu nel 2004, ai tempi della liberazione di Simona Torretta e Simona Parri in Iraq, che cominciò la moda di sputare veleno sui cooperanti comodamente da casa propria. Stavolta però si sono superati i limiti del disumano. Commenti ignobili, irripetibili anche per dovere di cronaca, con bieche e pesanti allusioni sessuali alla lunga detenzione e ai presunti matrimoni, messi nero su bianco anche da molte donne, nel giorno della festa della mamma, e che a nessuno con un minimo di dignità verrebbe in mente anche solo di pensare. Solo la consapevolezza della gioia ritrovata in quella casa, dopo 18 mesi in cui si era persa la speranza, dovrebbe illuminarci gli occhi.

cosa-è-jilbab

Cosa penserà questa ragazza e i genitori, gli amici, i parenti, mentre leggeranno i rigurgiti pseudo sovranisti di chi confonde un patologico concetto di amor patrio e bene nazionale con i suoi più bassi istinti e la rabbia verso chi è migliore di lui? Come si saranno spiegati tanto livore ingiustificato? Dovranno vivere nella paura di uscire di casa per scoprire scritte ingiuriose sui muri, o temere un agguato instrada da parte di qualche fanatico della propria follia? Liberata dai carcerieri in Somalia, Silvia si è ritrovata nella sua patria esposta come un bersaglio di post e meme sessisti, ridotta a un punching ball contro cui sfogare i torti che alcuni utenti credono di aver subito. Qual è, alla fine, il paese più civile?

silvia romano papà africa

Come sono diventati distanti i social network dall’uso originario per cui furono concepiti: uno spazio pubblico di condivisione adoperato come trogolo in cui riversare la propria bile, costringendo gli altri ad assistere all’osceno spettacolo e a vergognarsi al posto loro. Costoro non sono degni della libertà che non gli è mai stata tolta di comunicare, gestendola come un primitivo brandisce una clava. Per costoro ci vorrebbe il bando dalla vita civile oltre alla galera, come prevedrebbe la legge Mancino che punisce con il carcere fino a 4 anni il reato di istigazione all’odio via internet. Non sono diversi da certi comizianti, demagoghi, da certi “populisti” in mutande e canottiera, a caccia di facili casse di risonanza per il loro ego ipertrofico, che sazino la malata brama di protagonismo e attenzione. Non è possibile che la maggioranza dei cittadini debba scontare questa sciagura nazionale incarnata dagli strepiti criminali e omicidi di soggetti pericolosi per le istituzioni democratiche, miserabili caricature da varietà satirico. Che “alla fine saremo migliori”, come recita un altro dei molti slogan da copywriter confezionati in questi mesi, resta al momento una mera utopia.