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Chiara Ferragni testimonial degli Uffizi: è davvero così sbagliato?

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È necessario uscire dall'idea elitaria dell'arte e ricordarsi che anche i musei hanno spese, entrate e rischi di fallimento da affrontare.

Il modello dell’influencer è nato per raggiungere un pubblico sempre più esteso, abbattendo le divisioni sociali, culturali e di pensiero. Se il mezzo lo sfrutta un’azienda per promuovere il proprio bikini va bene, ma per diffondere l’arte proprio no. Sembra essere questo il pensiero della rete dopo la “tempesta social” che ha colpito l’account Instagram della Galleria degli Uffizi di Firenze.

Per chi non avesse letto della polemica sui tanti siti e giornali nazionali, basti citare che il pomo della discordia è Chiara Ferragni, la prima ad aver esportato il modello dell’influencer/fashion blogger in Italia, che lo scorso 17 luglio ha visitato il museo, complice uno shooting fotografico di Vogue per un’associazione no profit programmato il giorno prima. E i responsabili social si sono trovati davanti un’opportunità troppo succulenta per non essere colta: portare l’arte degli Uffizi sui feed Instagram degli oltre 20 milioni di follower della Ferragni. Una in particolare l’opera prescelta: la “Nascita di Venere” del Botticelli, divenuta modello per discutere di standard di bellezza che cambiano nei secoli.

Operazione che la rete non ha gradito: centinaia i commenti negativi comparsi sotto il post, divisi tra chi si indignava per un accostamento di bellezza troppo ardito e chi puntava il dito sui responsabili social per aver deciso di “godere” della luce riflessa della influencer. Quello che viene ora da chiedersi è: ma davvero è così sbagliato?

La Galleria non ha venduto la Ferragni come artista (non la troverete esposta tra le opere accanto alla Venere, non preoccupatevi) né le ha dato una qualifica che non le competeva. Ha semplicemente parlato di un modello di bellezza in cui non si intravede niente di assurdo, vista l’oggettiva bella figura della compagna di Fedez, per niente artefatta, a differenza di tante star a caccia di follower facili con foto al limiti del porno.

È moralmente sbagliato utilizzare una figura che poco c’entra con questo mondo per farsi pubblicità? Non se si porta l’arte anche tra coloro che normalmente non ne sarebbero interessati. È proprio questa la caratteristica di internet: è permeabile e tempestiva. “Il fine giustifica i mezzi” si dice, e se lo si fa per una buona causa allora qualsiasi testimonial che non rovini in qualche modo l’immagine del museo (e, per quanto se ne possa dire perché la Ferragni dovrebbe farlo?) va bene.

E forse usciremo da quell’idea di elitarietà dell’arte, che ha portato musei e gallerie a essere tra i settori più colpiti dopo la crisi da Covid (perdite nette di 20 milioni di euro al mese per i musei statali, secondo stime sugli incassi 2019 di Antonio Tarasco, direttore del Servizio I della Direzione generale Musei del Ministero dei Beni culturali e del Turismo, fornite all’agenzia giornalistica Agcult).

E per i detrattori di questa operazione, un suggerimento: fate un commento in meno sui social e acquistate un biglietto per visitare gli Uffizi, almeno quello per il tour in realtà virtuale. Darete meno notorietà alla Ferragni e avrete fatto qualcosa di davvero utile per aiutare la cultura in questo Paese. In molti invece sembrano far finta di non sapere che anche i luoghi dell’arte hanno spese, entrate, bilanci e rischi di fallimento da sostenere, come una qualunque azienda. E talvolta anche un post sui social può generare utili (non solo in termini di sponsorizzazione diretta) da non sottovalutare.