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Gad Lerner: "Nell'Infedele racconto il mio tragitto dalla militanza di sinistra all’establishment"

intervista a gad lerner

In un'intervista a Notizie.it, Gad Lerner racconta "la contraddizione vissuta tra la grande speranza rivoluzionaria di riscatto delle classi subalterne e la frequentazione episodica dei ricconi".

L’Infedele è una storia d’amore, ad alto tasso di infedeltà, tra operai e partiti politici di sinistra, un racconto collettivo di ribelli e di padroni che descrive “un tragitto che mi accomuna a tanti coetanei partiti dalla militanza a sinistra e approdati nell’establishment di questo paese”.

In un’intervista a Notizie.it, Gad Lerner racconta il suo ultimo libro, nelle cui pagine è riuscito a racchiudere aneddoti autobiografici (dal doloroso addio a Repubblica alla morte del padre) e questione israeliana, flussi migratori e George Soros. E con cui lancia un messaggio di speranza: “Il progresso sociale, come ci insegna la storia, è quasi sempre merito di ignudi che imparano da soli a vestirsi. Sono certo che succederà di nuovo“.

l'infedele

Il suo ultimo libro, L’Infedele, è ricchissimo di aneddoti anche inediti sulla sua vita e i personaggi che l’hanno costellata, anche celeberrimi (da Gianni Agnelli a David Grossman). Inoltre, non mancano le occasioni di parlare di religione; la letteratura ricorre spesso, da Saul Bellow a Philip Roth. Mi è sembrato che si tratti di un romanzo, un romanzo autobiografico, un romanzo storico, nel quale ciò che emerge con più chiarezza è che ogni destino è destino comune. È d’accordo?

Non è stata certo un’esigenza autobiografica a spingermi alla scrittura: l’ennesima autobiografia di una vita per nulla eccezionale! Se ho adoperato il metodo “femminista” di partire da me stesso, anche con una certa spudoratezza, evidenziando il lato comico delle mie fortunate disavventure e cercando di sfuggire al vittimismo che va per la maggiore, l’ho fatto con uno scopo preciso: descrivere un tragitto che mi accomuna a tanti coetanei partiti dalla militanza a sinistra e approdati nell’establishment di questo paese.

Nelle prime pagine lei si sta cambiando nella sua macchina, in corso Sempione a Milano, dismettendo l’abito scuro dopo il funerale di suo padre. Una morte che si potrebbe forse definire improvvisa, anche se preannunciata dalla lunga malattia. Mi ha ricordato i giorni di oggi, in cui il Covid colpisce soprattutto gli anziani. Peraltro, la sua ultima inchiesta sul “Fatto quotidiano” riguardava proprio la mala gestione del Pio Albergo Trivulzio di Milano…

Lascio al lettore, se mai possa incuriosirlo, scoprire il motivo per cui mi cambiavo d’abito in automobile nel mezzo di un inverno milanese. La morte di mio padre concludeva una lunga stagione di conflitti familiari che avevo già descritto in un libro precedente, “Scintille, e che hanno non poco a che fare con la memoria rimossa della Shoah. La scomparsa di mio padre, figura per certi versi imbarazzante ma com’è inevitabile per me fondamentale, non ha interrotto un confronto tra la mia e la sua esperienza. Quanto alla generazione dei vecchi che se ne stanno andando, sarebbe un danno collettivo non aver saputo raccogliere prima la loro memoria e i loro insegnamenti.

Ho trovato geniale l’idea di pubblicare per intero quell’articolo di Salvatore Merlo del 2013 sul Foglio, in cui si faceva un ritratto di lei veramente impietoso. A questo punto, come copertina, avrebbe potuto mettere la famosa foto sua con De Benedetti in Sardegna. A parte l’ironia, l’intero libro è pieno di occasioni di auto denuncia. Sono il pretesto per una più generale denuncia sociale?

Non esageriamo. Offrire in copertina le vetuste rotondità in costume da bagno del sottoscritto e di Carlo De Benedetti sarebbe stato di dubbio gusto. Diciamo che ho voluto raccontare – ripeto, anche in chiave autoironica – la contraddizione vissuta tra la grande speranza messianica rivoluzionaria di riscatto delle classi subalterne e la frequentazione episodica dei ricconi.

Il suo rapporto con il mondo dei ricchi, che pure ha frequentato e frequenta, sembra pieno dei dubbi e degli interrogativi tipici di un personaggio di Saul Bellow più che della “macchietta” fuoriuscita dalla penna di Salvatore Merlo…

La grossolana caricatura del comunista col Rolex che mi hanno appioppato è storia vecchia e ricorrente in letteratura. I romanzi di Saul Bellow la descrivono con ben altra maestria di quanto non abbiano fatto in Italia Il Foglio, Dagospia e altri media dediti a vezzeggiare i luoghi comuni.

Il fil rouge del libro è quello della storia d’amore, ad alto tasso di infedeltà, tra operai e partiti politici di sinistra. Ma emerge anche chiaramente il tema, presente anche in Oswald Sprengler, dell’asservimento del giornalismo al denaro. Un fatto evidente con riguardo al cambio di proprietà di Repubblica?

In effetti la molla che mi ha spinto a scrivere L’Infedele, libro per il quale negli anni avevo già raccolto molti appunti, è stata la mia dolorosa decisione di interrompere la collaborazione a Repubblica dopo il cambio di proprietà e il licenziamento senza preavviso del direttore Carlo Verdelli. L’ho interpretata come una vera e propria svolta padronale. Credo che i fatti mi stiano dando ragione. Di padroni ne ho conosciuti, ci ho lavorato, me ne intendo. C’è modo e modo di esercitare il ruolo di azionista nei giornali. In Italia varie circostanze sembrano incoraggiare una deteriore spinta all’asservimento.

L’equivoco di un mondo diviso tra popolo ed èlite non aiuta a decriptare una realtà sempre più complessa. Anche la questione israelo palestinese, con Israele spesso descritta nella prospettiva atlantista come baluardo occidentale in Medio Oriente, risente un po’ di questa tendenza a semplificare?

Nel libro cerco di mostrare che la vicenda ebraica, lo stesso rapporto instauratosi fra gli ebrei della diaspora e le classi dominanti, così come il ruolo assunto da tanti ebrei nei movimenti rivoluzionari, non meritano di essere ridotti a mera identificazione con le politiche dei governi israeliani.

Anche quello dell’immigrazione è un tema che divide. Proprio questi giorni, lei ha “sfidato” Marco Minniti in un confronto sul La 7 sulla sua gestione della politica migratoria da ministro degli Interni. Si ritiene invece soddisfatto dell’abrogazione dei decreti sicurezza da parte dell’attuale governo?

No. Intimorita dall’offensiva culturale della destra nazionalista, purtroppo la classe dirigente del centrosinistra continua a vivere come una minaccia i flussi migratori. Condannandosi al mero contenimento e al ripiegamento dai suoi principi fondativi di solidarietà. Per chi, come me, è diventato italiano a trent’anni dopo essere approdato in questo paese da bambino, ciò resta inaccettabile.

A proposito del ruolo del denaro, del capitale nella società, anche la politica si è spesso nascosta dietro i soldi, o meglio l’assenza di soldi. Se il mondo non era il paradiso in terra, cioè, era perché non c’erano i soldi. Ma adesso che i soldi ci sono (si veda alla voce Next generation EU), si scopre che il denaro non è poi così centrale, non se la politica rifiuta o non è in grado di assumersi le sue responsabilità. E allora se le prende qualcun altro. E a quel punto, quindi, “ben vengano i Soros”?

La figura contraddittoria di George Soros, finanziere esperto in operazioni speculative e al tempo stesso ambizioso filantropo, è intrigante. Nel libro mi ci soffermo. Contesto chi la denigra affermando che a muoverlo sia solo la bieca convenienza o avidità personale. Ma certo non saranno i ricconi progressisti la soluzione alla crisi del capitalismo finanziario, al dissesto ambientale e alle ingiustizie sociali crescenti.

La sensazione, alla fine del libro, è che non solo la sinistra ma la politica in generale, come lei all’inizio del libro, abbia dovuto procedere ad un cambio d’abito di fortuna necessario. Solo che, per qualche motivo, la politica è rimasta nuda esposta al pubblico ludibrio. Ma forse il solo modo per trovare dei vestiti è essere stati nudi, così come l’infedele più di tutti spera, un giorno, di riuscire a credere…

Mettiamola così: il progresso sociale, come ci insegna la storia, è quasi sempre merito di ignudi che imparano da soli a vestirsi, grazie a ammirevoli processi collettivi di emancipazione e acculturazione. Nel mio libro non mancano gli esempi. Sono certo che succederà di nuovo.