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Da Cuadrado a Shaqiri: quanti migranti al Mondiale

Shaqiri Svizzera Serbia

Tanti giocatori presenti a Russia 2018 hanno affrontato violenza e dolore prima di coronare il loro sogno. Conosciamo le loro storie.

L’ambizione, l’amore per la propria nazione, la voglia di vincere ma non solo: per tanti calciatori la Coppa del Mondo è anche un punto di arrivo, una meta raggiunta alla fine o nel bel mezzo di un percorso che è partito tra mille difficoltà, da realtà in cui le possibilità di diventare un calciatore che rappresentasse un giorno un intero Paese erano una su un milione, o anche meno. Oltre ai riflettori, ai risultati e ai gesti tecnici in campo vanno infatti anche le storie personali che ognuno si porta dentro e che possono poi manifestarsi in qualsiasi modo, anche con un’esultanza, come accaduto agli svizzeri Shaqiri e Xhaka nel match contro la Serbia. Loro, insieme a tanti altri calciatori presenti a Russia 2018, hanno vissuto momenti difficili prima di poter brillare con le maglie delle loro nazionali, costretti nella maggior parte dei casi persino a lasciare i propri paesi natii per trovare fortuna altrove.

Al Mondiale dopo la sofferenza

Li possiamo vedere esultare per un gol, una parata, o un salvataggio decisivo di fronte agli occhi del grande pubblico e sul palcoscenico calcistico più importante. Eppure, prima di arrivare a giocare la Coppa del Mondo, molti protagonisti che ora sono decisivi per le proprie nazionali hanno dovuto affrontare battaglie decisamente più dure di quelle che offre il campo. In tutti i casi si parla di guerra, di violenza, di strade in salita che hanno temprato il carattere di uomini che hanno dovuto lasciare il proprio Paese e che oggi rincorrono un pallone e danno tutto dentro al rettangolo verde, senza però mai dimenticare da dove sono partiti.

Roberto Firmino

L’attaccante del Liverpool Firmino è arrivato al suo primo Mondiale a 26 anni, e lo ha fatto nella veste di uno dei giocatori del momento, dopo una stagione straordinaria agli ordini di Jürgen Klopp. Il suo percorso, però, è stato tortuoso, come le strade di Maceió, città a nord-est del Brasile, su cui correva da piccolo tra le paure della madre, preoccupata dalle bande criminali che controllavano la zona al punto da vietargli di uscire di casa. Tutto inutile, perché “Bobby”, come lo conoscono ora a Liverpool, trovava continui metodi per eludere la sorveglianza e sfidava il pericolo per coltivare la sua grande passione.

Victor Moses

Il percorso del nigeriano Victor Moses è stato ricco di ostacoli fin dal principio, gli stessi che oggi cerca di superare correndo palla al piede, con la maglia del Chelsea, dove ha ottenuto la fiducia di Antonio Conte, e quella della nazionale. Nato a Kaduna, Moses a soli 11 anni si è ritrovato orfano dei due genitori, assassinati mentre Victor giocava per strada con gli amici. La famiglia allargata è andata poi in soccorso del ragazzo, aiutandolo a trasferirsi in Inghilterra come richiedente asilo. Da lì, senza dimenticare gli orrori vissuti da piccolo, Moses ha preso la rincorsa e non si è più fermato, partendo dal Crystal Palace per poi affermarsi in Premier League e con la Nigeria, con la quale ha anche sollevato la Coppa d’Africa 2013. Dopo aver giocato con le selezioni giovanili dell’Inghilterra, infatti, Moses ha deciso di rappresentare a livello maggiore il suo Paese d’origine.

Juan Cuadrado

I balletti, i sorrisi e l’allegria di Juan Cuadrado danno senza dubbio l’idea di un uomo innamorato della vita, che però non gli ha fatto sconti. Nato a Necoclì nel 1988, i ricordi d’infanzia dell’esterno della Juventus sono segnati da paura e violenza, come quando all’età di quattro anni si nascondeva sotto il letto al suono degli spari delle bande del suo quartiere. In uno di quei giorni, uscito dal suo nascondiglio, scoprì che il padre era stato ucciso. Un dolore che il colombiano ha trasformato in coraggio e determinazione, che gli hanno permesso di diventare un giocatore importantissimo, tanto per i bianconeri quanto per la sua nazionale.

Luka Modric

Il centrocampista della Croazia, al pari di diversi suoi compagni di nazionale, ha dovuto affrontare alcuni anni travagliati prima di emergere come uno dei più forti giocatori al mondo con le maglie di Tottenham e, soprattutto, Real Madrid. Il capitano croato, nato nel 1985, ha vissuto la sua infanzia nel periodo della guerra d’indipendenza della Croazia: suo nonno viene ucciso durante il conflitto e la famiglia Modric fugge dalle bombe in direzione Zara. Lì, Luka e genitori trovano riparo in un hotel, dove il piccolo talento si allena in un parcheggio per diverso tempo, finché un allenatore della squadra locale lo vede giocare e si innamora della sua classe, dando così il via alla sua ascesa.

Pione Sisto

Con i suoi 23 anni, Pione Sisto è considerato una grande promessa del calcio danese, eppure il suo destino è stato in bilico fin dai primi mesi di vita. I suoi genitori, originari del Sudan del Sud prima della sua indipendenza furono infatti costretti a fuggire dalla guerra civile: si spostarono in Uganda, dove Sisto nacque nel 1995, per poi trasferirsi in Danimarca insieme al piccolo di appena due mesi. Una fuga dalla violenza e dalla povertà, verso una terra che ha accolto e coltivato il talento del calciatore, che nel 2014 ha ottenuto la cittadinanza danese, il suo pass per i Mondiali di Russia 2018 e per un futuro brillante.

Xhaka e Shaqiri

I due giocatori svizzeri e la loro discussa esultanza nella partita contro la Serbia sono la prova di come, spesso, le origini e i legami d’infanzia contino più di ogni altra cosa. Sia Shaqiri che Xhaka, infatti, non dimenticano le loro radici kosovare: il primo nacque nel 1991 proprio nel territorio indipendente dal 2008, a Gjilan, mentre il secondo ha ereditato questa connessione dai genitori kosovari-albanesi, poi emigrati in Svizzera, dove Xhaka è nato nel 1992. Entrambi hanno deciso di vestire la maglia della nazionale elvetica (quella kosovara esiste solo dal 2016), ma senza dimenticare le sofferenze vissute in prima persona o dai famigliari durante la guerra del Kosovo. Ecco perché la sfida ad alta tensione tra Svizzera e Serbia nella fase a gironi del Mondiale è stata occasione per i due giocatori, curiosamente andati a segno nella rimonta elvetica (2-1), per ribadire con orgoglio il legame con l’Albania attraverso il gesto dell’aquila (simbolo nazionale albanese) ripreso in mondovisione dalle telecamere. La FIFA ha infine deciso di multarli per un gesto considerato provocatorio, una sanzione che difficilmente potrà affievolire questa rivalità.

Steve Mandanda

Anche se da secondo portiere, vista la concorrenza di Hugo Lloris, Steve Mandanda difende i colori della Francia, il Paese che accolse lui e la sua famiglia che decise di portarlo via da Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, al tempo chiamata Zaire, dove era nato nel 1985, nel bel mezzo del regno del dittatore Mobutu Sese Seko. Una decisione, quella dei genitori, che ha fatto la fortuna dell’estremo difensore, diventato un simbolo della squadra del Marsiglia