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Terapie intensive, Gimbe: "In realtà sono il doppio"

Coronavirus terapie intensive mobili

"I dati comunicati nel bollettino della Protezione civile e del ministero della Salute siano parziali e insufficienti"

Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, al Messaggero, ha dichiarato che i posti nelle terapie intensive in realtà potrebbero essere molti di più di quelli che vengono detti. Dalla pubblicazione quotidiana dei bollettini, dice che si può dedurre solo l’incremento dei posti occupati in terapia intensiva. Non si può conoscere, invece, quanti sono effettivamente i nuovi ingressi, al netto dei pazienti intubati che sono deceduti o guariti.

Terapie intensive, Gimbe: “Sono il doppio”

“La mancanza di questi dati è inaccettabile – hanno affermato dall’associazione -. Da mesi stiamo chiedendo i dati sulle terapie intensive, ma neppure sappiamo se esistano. Ogni giorno viene semplicemente comunicato un saldo, che ci fa comprendere la percentuale di occupazione dei posti di terapia intensiva. Certo, è utile. Ma non basta. Paradossalmente quel numero è più basso se muoiono molti pazienti. Invece, avere un dato puntuale dei flussi in entrata e in uscita, aiuterebbe a comprendere meglio l’andamento dell’epidemia“. Intanto giungono notizie sempre meno confortanti, i posti delle terapie intensive negli ospedali si fanno sempre più rari e molte Regioni risultano al collasso da settimane.

“C’è un altro problema – riferisce Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova – . Non c’è omogeneità tra i dati delle diverse Regioni. Nei differenti territori si utilizzano criteri per la classificazione di un paziente in terapia intensiva o in sub intensiva, che non coincidono. Consideriamo solo chi è intubato? Chi ha la respirazione assistita con il casco come viene contato? Quali sono i criteri di ospedalizzazione? Da Regione a Regione ci sono parametri non uguali”.

I numeri delle terapie intensive avranno un peso significativo nella scelta delle Regioni da inserire in una delle tre fasce di rischio previste dall’esecutivo per evitare un lockdown nazionale. Tra le Regioni vicine alla soglia critica del 30% ci sono: Liguria (27%), Emilia Romagna (25%), Puglia, Sardegna e Sicilia (24%), seguite da Calabria, Lazio, Abruzzo e Trento (22%), Friuli Venezia Giulia (21%), Basilicata (20%) e Veneto (16%).