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Tragedia nel carcere di Torino, detenuta nigeriana si lascia morire di fame e di sete

Detenuta morta di fame a Torino

Una detenuta nigeriana di 43 anni è morta di fame e di sete in carcere, a Torino. Disposta l’autopsia per verificare le cause del decesso.

È successo a Torino: una detenuta è morta di fame e di sete a circa un mese dal suo trasferimento in carcere. La donna è deceduta in una delle stanze del reparto ATSM della struttura penitenziaria.

Detenuta morta di fame a Torino

Si chiamava Susan John la detenuta nigeriana di 43 anni che si è lasciata morire di fame e di sete nel carcere di Torino. La donna, con fine pena fissato nel 2030, si è lentamente spenta in una delle due camere del reparto “Articolazione tutela salute mentale” (ATSM) che, tra chi ha familiarità con le prigioni, non è altro che un “piccolo manicomio”. Ad oggi, stando all’ultimo report di Antigone, i soggetti ospitati in contesti simili in Italia per trattare il disagio psichico sono 247.

La 43enne è stata trovata riversa sul pavimento del bagno da una poliziotta penitenziaria, nella notte tra giovedì 10 e venerdì 11 agosto. Prima di morire, la detenuta ha chiesto aiuto ma a nulla sono valsi i tentativi di rianimarla. A determinare la causa del decesso sarà l’autopsia disposta dalla Procura. Intanto, si fanno largo le ipotesi.

Alcuni ipotizzano che Susan John sia stata stroncata da un’infezione fatale per via del suo organismo debilitato da fame e sete. In attesa di scoprire la verità, resta scolpito nella pietra che la donna – inizialmente in buone condizioni di salute – abbia cominciato a rifiutare qualsiasi cosa poco dopo il suo arrivo al Lorusso-Cotugno, avvenuto circa tre settimane prima della morte. La 43enne ha detto no al cibo, all’acqua, agli integratori e al ricovero in ospedale. parlava soltanto per chiedere quando il suo compagno, un operaio che lavora su turni in fabbrica, sarebbe andato a farle visita.

L’avvocato

In carcere, la donna era finita lo scorso luglio, dopo che i giudici della Cassazione l’hanno condannata nell’ambito di un’inchiesta sullo sfruttamento della prostituzione.

“Non rivendicava nulla, non protestava per avere qualcosa”, ha detto l’avvocato Wilmer Perga all’AGI, definendo la vicenda “incredibile”. Per quanto riguarda la detenuta, pare che ad averla condotta alla morte sia stato proprio il non aver rivendicato lo sciopero della fame. In questo modo, non sarebbe stato attivato il controllo dei parametri vitali, come da protocollo in casi analoghi. Eppure, che la situazione fosse delicata, era noto. I medici, infatti, la visitavano spesso mentre le videocamere la riprendevano quotidianamente.

“Una settimana fa mi ha chiamato un’ispettrice della polizia giudiziaria per dirmi che era preoccupata perché non mangiava”, ha raccontato Perga. “Due giorni fa è arrivata la chiamata della direttrice del carcere che mi manifestava la sua preoccupazione per il prolungato digiuno. La mia assistita andava curata. Non stava facendo una battaglia ‘politica’, semplicemente non mangiava né beveva e quindi andava considerata come una malata da curare. Ricordiamo che Cospito, a un certo punto del suo sciopero, venne ricoverato”, ha dichiarato l’avvocato torinese.

A proposito del fatto che la detenuta fosse stata spostata in un reparto destinato ai prigionieri con problemi psichici, Perga ha ammesso: “Questo io non lo sapevo – prosegue Perga – quindi si sarebbe potuto pensare anche a un tso. Perché non è stata ricoverata?  Perché non è stata fatta almeno un’iniezione? Mi sembra incredibile… Eppure ho apprezzato l’interessamento, molto raro in questi casi, della direttrice che mi ha telefonato”.

Sulla vicenda, è intervenuto anche il garante del Piemonte, Bruno Mellano, che ha affermato: “Né il garante nazionale, né quello di Torino né io avevamo intercettato questa vicenda. Il 4 agosto ero in carcere ho parlato con la direzione, gli operatori dell’istituto e parecchie donne detenute che, di solito, sono le nostre `sentinelle´ e tra loro hanno un atteggiamento accudente. Nessuno ci ha segnalato il caso”.