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Giornalismo e misinformazione: guerra nella guerra, all’origine delle fake news su Israele

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Dalla carta stampata a internet: perché la digitalizzazione è alla base del progresso dell’informazione degli ultimi venti anni e cosa c’è all’origine delle false notizie che circolano sul web

Dalla macchina da scrivere al computer. Dal cartaceo a internet. Dall’attesa del giorno dopo all’interesse dell’ultima ora. Una sola costante: la notizia. Nell’ultimo ventennio il giornalismo ha cambiato volto e, con l’obiettivo di stare al passo con l’evoluzione del digitale, ha costruito nuove strade su cui far correre l’informazione. Strade dritte, veloci, senza curve né traffico, in grado di soddisfare il più delle volte in tempi record la sete dei lettori. Al pedaggio, qualche giusto compromesso. Uno, in particolare: rivedere il modo di raccontare i fatti.

Oltre a essere cambiati l’idea di redazione e il modo con cui reperire notizie, infatti, la rivoluzione del digitale ha stravolto il metodo ‘carta e penna’, sostituendolo con un ecosistema riadattato ai nuovi mezzi di comunicazione: diversamente dalla visione unidirezionale presentata – e imposta, per certi versi – dalla carta stampata, l’interazione sul web richiede ai giornalisti, divenuti nel frattempo «creatori di contenuti», la capacità di comunicare con gli utenti dei social media attraverso linguaggi e piattaforme completamente mutati. È l’epoca del ‘tutto e subito’, anche nel giornalismo. Veicolare per primi un fatto è importante e poterlo aggiornare più volte nel giro di qualche minuto lo è ancora di più. Fin qui, digitale batte cartaceo: nessun dubbio. Che l’obiettivo sia la carta o il web, tuttavia, resta fondamentale non trascurare il rapporto tra qualità e velocità dell’informazione. Puntare all’istantaneità senza tenere conto della verifica delle fonti e della completezza dei fatti è come tagliare la strada – una di quelle (già) veloci e senza traffico – per arrivare primi al traguardo, consci di incappare nella squalifica subito dopo. Nella partita ‘giornalismo vs. tempo’, il cartellino rosso è dietro l’angolo, tanto più se il campo da gioco è rappresentato da fatti di interesse internazionale, cronaca (nera) in primis. Ma niente da fare: contro ogni dovere deontologico, alcuni pseudo creatori di contenuti – stavolta nel senso che li inventano proprio – continuano a commerciare la diffusione di false notizie, distorcendo la realtà al punto da rendere i fatti in un puzzle di finzione e misinformazione.

Guardiamola da bordo campo questa partita. Ce ne sono diverse in corso, in realtà. Scegliamone una: quella di Israele. Dall’irruzione di Hamas dello scorso 7 ottobre, i social media sono stati intasati da foto e video pronti all’uso da prima che i miliziani sferrassero l’attacco. Tra i filmati più virali quello che mostra dei bambini israeliani rapiti e tenuti in gabbia (a Gaza): tramite una ricerca su YouTube, Open ha scoperto che si tratta di una ripresa risalente al 2014. Ugualmente, è stato girato nel 2015 in Guatemala il video di una donna, spacciata per israeliana, a cui viene dato fuoco (a Gaza). Fermiamoci pure qui, ché è già troppo. A un gioco così disonesto una spiegazione, che non è una giustificazione, ci sarebbe: trovarsi di fronte a lettori abituati all’ultima ora e a un flusso di informazione ininterrotto ventiquattro ore su ventiquattro, aumenta il rischio di generare un corto circuito tra qualità e quantità. L’esperienza polisensoriale dell’informazione multimediale, conquista straordinaria del terzo millennio, rischia di diventare in mani sbagliate un’arma a doppio taglio. Lungi dal voler appagare seti insaziabili, non resta che aggiustare la mira sull’unico vero bersaglio: la notizia.