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Jaber al-Bakr trovato morto in cella: un "martire" anomalo

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Dopo due giorni di fuga e l’arresto, il rifugiato siriano Jaber al-Bakr si è tolto la vita in carcere. L'uomo aveva accusato di complicità i connazionali che lo avevano denunciato. Jaber al-Bakr si è suicidato in carcere. L’uomo – cittadino siriano con lo status di rifugiato – era detenu...

Dopo due giorni di fuga e l’arresto, il rifugiato siriano Jaber al-Bakr si è tolto la vita in carcere. L’uomo aveva accusato di complicità i connazionali che lo avevano denunciato.

Jaber al-Bakr si è suicidato in carcere. L’uomo – cittadino siriano con lo status di rifugiato – era detenuto in un carcere tedesco perché fortemente indiziato di essere un terrorista dell’Isis, pronto a colpire in Germania.

Jaber al-Bakr, 22 anni, era finito in manette dopo essere stato latitante per due giorni. La polizia aveva fatto irruzione nella sua casa di Chemnitz lo scorso sabato. All’interno dell’abitazione era stato trovato dell’esplosivo identico a quello utilizzato per gli attentati di Parigi e Bruxelles.

A favorire l’arresto del presunto terrorista erano stati due suoi connazionali presso i quali aveva cercato rifugio ma quando gli amici hanno capito che Jaber al-Bakr fosse un fuggitivo, hanno allertato la polizia.

Durante l’interrogatorio Jaber al-Bakr ha tirato in ballo proprio le persone che l’hanno denunciato, indicandole come suoi complici. La polizia sta verificando quanto confessato dall’uomo.

Dopo l’arresto il detenuto ha iniziato lo sciopero della fame. Era tenuto sotto stretto controllo perché si temeva che potesse togliersi la vita; cosa che è poi accaduta.

Ma è un suicidio strano quello di Jaber al-Bakr. Lungi da noi tirare in ballo qualsiasi tesi complottistica o lanciare accuse a destra e manca. Tuttavia vogliamo ragionare su un punto che riteniamo importante.

Un estremista islamico che si uccide è quantomeno singolare. Qualcuno potrebbe obiettare facendo l’esempio dei Kamikaze. Sono due casi molto diversi. L’Islam, come tutte le religioni monoteiste, ritiene il suicidio un peccato gravissimo: solo Dio decide quando è giunta l’ora di morire.

Attraverso una rilettura deviante del Corano, i terroristi hanno trovato il modo per “purificare” il suicidio attraverso il martirio. Evidentemente non è questo il caso di Jaber al- Bakr. La sua morte non è stata funzionale alla Guerra Santa.

Questo ci porta a un altro aspetto dell’Isis e di chi ne ha sposato la causa. Quanti di quelli che si uniscono al Califfato credono nella Guerra Santa. Quanti sono davvero mossi da un sentimento religioso. Se andiamo a spulciare nel passato dei terroristi che hanno colpito l’Europa negli ultimi mesi, scopriamo che molti di essi hanno avuto a che fare con la droga e altri crimini. Cosa che non era riscontrata, per esempio, negli uomini fedeli a Bin Laden e al-Qaeda.

I terroristi 2.0 dell’Isis difficilmente imboccano la strada del martirio; lo abbiamo visto. Colpiscono e poi scappano. Se sono intercettati, si barricano con gli ostaggi: non sembrano avere tutta questa voglia di morire.

Un terrorista islamico “vecchio stampo” farebbe una cosa molto semplice: s’imbottirebbe di esplosivo e si farebbe saltare in aria. Non scapperebbe, non cercherebbe la fuga perché l’unica cosa che vuole è il martirio. Ecco perché ritengo che chi si arruoli nell’Isis sia più un mercenario che uno jihadista, più un criminale comune che uno jihadista, più un povero pazzo che uno jihadista.

L’Isis non porta avanti una guerra di religione ma una guerra di potere. Il califfato non è interessato a cacciare l’invasore infedele in nome di Allah. Dio, per questi signori, è poco più di uno spot pubblicitario, un endorsement che si sono presi, cosa che a dire il vero abbiamo visto fare a tutti, da oriente a occidente durante le recenti guerre.