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Lo scudetto del Napoli e la “retorica buona” che però non piace a tutti

inter lazio sarri

e se Napoli squadra vince uno scudetto e Napoli società di calcio si fregia, il fatto che ci siano tanti napoletani che ci vedono un “riscatto retorico” per i guai in cui sono immersi non solo è giusto, ma normale.

Dato di preambolo: Giuseppe Cruciani con i tifosi del Napoli non ci si è mai preso, questo è un fatto ed è un fatto che ha sacrosanta ragion d’essere indipendentemente da ragioni i torti nel cui marasma non ci tufferemo. Non tutti sono destinati a piacersi vicendevolmente e quello che il giornalista pensa e dice non è decisamente quello che Napoli ed il Napoli amano sentirsi dire. Cruciani tra l’altro è abbastanza noto per affermazioni ed uscite “dirompenti” su molti temi del mainstream anche politico, perciò il suo personale registro di nota sulle polemiche è noto.

In alcuni casi la schietta “weltanschauung” del giornalista poi ha avuto un pregio, magari difficile da digerire a contare la ruvidezza del personaggio, ma per certi versi inoppugnabile. Quella di aver saputo mettere alla berlina una serie di ipocrisie tutte italiane, roba con cui noi tendiamo ad avere chiavi di lettura di fatti e sistemi complessi a volte ipocrite ed inconcludenti, quando non addirittura false.

Fatta questa premessa però, ci sono cose da spiegare e fatti da analizzare e il primo fatto, inoppugnabile per tutta una serie di motivi, è che Cruciani in una cosa in particolare ha sbagliato a prescindere dal suo diritto di parola declinato secondo la sua indole e sensibilità. In cosa? Nel voler alzare una diga concettuale ed emotiva fra Napoli città e Napoli società di calcio. Secondo il parere, legittimo ma sghembo, del giornalista, le due realtà non vanno in coppia e che il Napoli squadra abbia vinto lo scudetto numero 3 suggellandolo anche con la vittoria contro la Fiorentina non è valore che possa portare shining di vittoria alla Napoli città.

Lo scudetto del Napoli e la “retorica buona”

Cruciani si è perciò giocato la matta della “retorica” e l’ha messa così: “Le società vincono come da altre parti perché hanno dei progetti sportivi. La retorica del sud e di una vittoria come una rivincita nei confronti nord è ridicola. Ha vinto il popolo di Napoli? Ma quale vittoria del popolo, ha vinto la società e non il popolo”. Crudo, asettico e decisamente opinabile, e non per condanna del cinismo che in giornalismo è skill, ma per oggettiva impreparazione sul tema.

Ecco, Cruciani ha sbagliato in punto di forma e di merito e il cardine assoluto dell’errore sta tutto in quel “come da altre parti”. Cruciani appartiene cioè a quel pattuglione nutrito e poco avvezzo al tema che si ostina a considerare Napoli una città come le altre, solo con più problemi e più verve melodrammatica nell’utilizzarli per “piangere e fottere”. Sbagliato. Lo è perché egli ricusa in buona sostanza una caratteristica universale che di Napoli rappresenta la skill suprema e che fa del capoluogo campano un unicum planetario.

Quale? Quella per cui in nessun’altra parte d’Italia e forse del mondo, escluse alcune grandi capitali del Sud America che di Napli sono omologhe in guai e colore, ciò che accade nello sport in un certo senso emenda e “riscatta” quello che non accade nella società. Insomma, contestare il fatto che Napoli abbia dei totem con cui bonificare i suoi mali non significa essere meridionalisti talebani o appartenere alla ghenga un po stramba per cui la ferrovia “Napoli-Portici” diventa prova provata di una civiltà primeva da ricordare. No, ammettere che Napoli non la puoi giudicare con metro convenzionale è solo e e soltanto capire, ma capirlo davvero, che le sorti di un popolo a volte sono del tutto legate a quelle di un successo.

Superare le brutture con un attimo di bellezza

E che questo succede nei sistemi complessi che, piaccia o meno, hanno trovato nelle proprie brutture lo spunto supremo per la loro unicità. Chi sarebbe disposto oggi, in piena onestà, a considerare ontologicamente Napoli come Milano, Bologna, la stessa Roma o perfino Palermo o Glasgow? Chi lo facesse declinerebbe magari un’aspirazione, non certo una fattuale realtà.

Non è così, non è mai stato così, e se Napoli squadra vince uno scudetto e Napoli società di calcio si fregia, il fatto che ci siano tanti napoletani che ci vedono un “riscatto retorico” per i guai in cui sono immersi non solo è giusto, ma normale. Ovvio che per comprendere appieno questo meccanismo serve che chi esercita un legittimo diritto di critica si spogli egli stesso dalla retorica che paradossalmente mette in punta di lancia.

Perché la vera retorica è voler considerare retorico vedere Napoli per quella che è e non accettare che Napoli va presa per quella che vorrebbe essere, in pulsione ed afflato perennemente irrisolti. Si tratta del solo caso al mondo di sistema complesso che è diventato empiricamente ciò che sogna e che non è più e non è mai stato ciò che è. Una città greca, orientale, mediterranea, universale, cattiva ed ottima, viscerale ed ipocrita, superba e totemica, comunque inimitabile. Un posto dove se qualcuno vince vincono tutti e se qualcuno perde si scappa come se lì ci fosse peste (anche se nel calcio non è così). Perché questa dovrebbe essere retorica e non la più piena e tonda realizzazione di un cinismo buono che di Napoli è il segno distintivo? Perché oggi un napoletano di Materdei, di Rione De Gasperi o di Santa Lucia a Pallonetto non dovrebbe sentirsi più alto di venti centimetri a contare l’impresa di Osimhen & co? Cosa c’è di male nell’appaiare i problemi alla narcosi del loro effetto e mettere un risultato sportivo a giogaia di altri risultati che non arrivano e non sempre per la usurata “colpa” dei napoletani?

Il riscatto come valore e come “medicina”

Cruciani è troppo intelligente per non capire che a volte certe sue affermazioni hanno lo stesso scopo che sui media social hanno i titoli click-bait. Ed è troppo onesto per non aver capito che forse la vera onestà sarebbe stata riconoscere semplicemente che Napoli non è come le altre città. E che lui, come tantissimi altri, questo forse non lo capirà mai. Forse.