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Inchiesta su Conte, Palazzo Chigi: "Nessun conflitto di interesse"

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Secondo l'inchiesta del Financial Times, il premier Conte è indagato in merito a un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano.

A pochi minuti dalla disfatta della coalizione governativa alle elezioni regionali in Umbria, arriva un’inchiesta del Financial Times che vedrebbe implicato il Premier Giuseppe Conte in un caso di corruzione finanziaria. Il nome del Presidente del Consiglio appare infatti in un’indagine in merito a un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano per il quale avrebbe fornito una consulenza legale prima di diventare Primo Ministro.

La smentita di Palazzo Chigi

Palazzo Chigi ha smentito il coinvolgimento del premier in una nota diffusa nella serata di domenica 27 ottobre. Nel documento si legge che “Giuseppe Conte ha reso solo un parere legale. Non era a conoscenza e non era tenuto a conoscere il fatto che alcuni investitori facessero riferimento a un fondo di investimento sostenuto dal vaticano e oggi al centro di un’indagine. Per evitare ogni possibile conflitto di interesse, il premier si è astenuto anche formalmente di ogni decisione circa l’esercizio della golden power“. Per questo motivo “non ha preso parte al Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stata deliberata la golden power), astenendosi formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione. Non esiste nessun conflitto di interesse“.

Inchiesta su Conte, collegato a caso di corruzione

Stando a quanto riportato dal quotidiano finanziario britannico, Giuseppe Conte sarebbe stato chiamato a svolgere una consulenza legale per Fiber 4.0, una cordata di azionisti che tentò la scalata per l’acquisizione di Retelit, una società italiana di telecomunicazioni. Il principale investitore all’interno della cordata era Athena Global Opportunities Fund, un fondo d’investimento di proprietà del finanziere italiano Raffaele Mincione e finanziato per 200 milioni di dollari dal Segretariato di Stato della Città del Vaticano.

Tuttavia, Mincione non ha mai rivelato la fonte dei soldi con cui tentò la scalata a Retelit, almeno fino a questo ottobre, con il sequestro da parte della polizia vaticana di documenti che riguardavano un affare concluso dal fondo d’investimento Athena in merito ad alcune proprietà di lusso a Londra. In base all’accordo con il Segretariato Vaticano, quest’ultimo avrebbe investito 129 milioni di sterline in un edificio nel quartiere londinese Chelsea, con denaro tenuto dal Vaticano in alcuni conti bancari svizzeri.

La questione del conflitto di interessi

A questo punto, contando sulla presenza dei fondi vaticani, il fondo d’investimento Athena di Mincione possedeva il 40% di Fiber 4.0, che a sua volta possedeva il 9% di Retelit. Quanto bastava per poter far eleggere Mincione all’interno del consiglio d’amministrazione della società di telecomunicazioni. Nell’aprile del 2018 tuttavia, Mincione perde l’elezione a consigliere d’amministrazione, venendo sconfitto da un fondo straniero, e chiede la consulenza legale dell’allora professore universitario Giuseppe Conte per cercare di ribaltare la votazione a suo favore.

Conte avrebbe quindi consigliato a Mincione di avvalersi della cosiddetta regola della golden power, un norma che consente al governo italiano di impedire qualunque controllo straniero all’interno di società considerate di interesse strategico nazionale. Una norma all’epoca non ancora attiva, ma che lo sarebbe diventata soltanto qualche settimana dopo, con la nomina di Conte a Presidente del Consiglio. In uno dei primi atti del governo giallo-verde infatti, in quello che in Financial Times definisce un grave caso di conflitto d’interessi, venne varato un decreto per l’attivazione della golden power, la quale tuttavia non consentì comunque a Mincione di ribaltare la votazione dell’aprile precedente.