> > Vietare le feste private non sarebbe illegittimo, secondo la nostra Costituzione

Vietare le feste private non sarebbe illegittimo, secondo la nostra Costituzione

Un divieto di feste private non sarebbe illegittimo

Il divieto di feste private può essere un’innovazione interessante, tutt’altro che illiberale. Anche per non dover tornare tutti agli “arresti domiciliari”.

La “forte raccomandazione” di non dare luogo a riunioni con più di sei persone nelle proprie abitazioni ha scatenato le immancabili, comprensibili e divertenti – molto – ironie di social e giornali. Si tratta certamente di una norma curiosa, quasi una contraddizione in termini: una non-norma, almeno nella lettura kelseniana del precetto giuridico, laddove la norma è norma solo qualora dalla sua violazione discendano delle conseguenze pratiche. Non ci troviamo quindi di fronte a una norma vincolante.

D’altronde, è evidente che, anche qualora fosse stato costituzionalmente legittimo – e non lo sarebbe stato – prevedere una regola con l’automatica operatività di una sanzione amministrativa a partire da un fatidico “settimo ospite”, sarebbe comunque concretamente impossibile garantire una forma di controllo tanto capillare da tradurla in realtà sul piano pratico.

Dal punto di vista del diritto pubblico, si tratterebbe peraltro di una disciplina in contrasto con un ordinamento liberale, nel quale l’ingerenza dello Stato deve in via di principio fermarsi sulla soglia delle private abitazioni. Un diverso significato avrebbe potuto avere una previsione in termini vincolanti, pur senza una correlata sanzione.

Al di là delle considerazioni sull’idoneità un di criterio numerico, rigido, a tenere conto di situazioni diverse legate alle numerose variabili del caso concreto, dalla previsione di un esplicito divieto deriverebbero delle conseguenze interessanti, non tanto sul piano dei rapporti verticali tra il potere pubblico ed i soggetti privati, quanto sul piano civilistico, dei rapporti paritari tra privati.

A oggi, infatti, il soggetto che assuma di essere stato contagiato da un altro soggetto inconsapevolmente positivo sarebbe privo di tutela; ciò anche qualora il contagio del secondo – e la successiva trasmissione del virus ad altri – sia la diretta conseguenza dell’adozione di comportamenti non coerenti con un canone cautela di massima cautela che una situazione di emergenza sanitaria che si regge su un equilibrio precario imporrebbe.

Il soggetto leso non potrebbe agire in giudizio per il risarcimento del danno ingiusto a causa della mancanza di uno dei quattro requisiti della reponsabilità aquilana. Mancherebbe, infatti, proprio la violazione di una norma giuridica vincolante. Per questo, la previsione di un divieto di organizzazione di eventi privati, lungi dal legittimare l’intervento dell’autorità, potrebbe avere la funzione, a condizione che vengano integrati anche gli altri requisiti della responsabilità aquiliana, di dotare il soggetto in ultima istanza contagiato – e danneggiato – di uno strumento di garanzia, in via mediata, tramite l’istituto del risarcimento del danno – ingiusto -, nei confronti dell’arbitrio e dell’incoscienza di altri soggetti privati.

Questa, sì, sarebbe potuta in astratto essere un’innovazione interessante, tutt’altro che illiberale, ispirata anzi ad una logica di responsabilità e civile convivenza tra consociati. Anche per non dover più tornare tutti agli “arresti domiciliari”. Ad oggi abbiamo soltanto una strana “forte” raccomandazione, nella migliore delle ipotesi superflua. Divertente, forse.