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La vita in carcere a Rebibbia: Alemanno svela la storia di due uomini gay nella stessa cella

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Dal carcere di Rebibbia, il racconto di Alemanno riporta al centro dell’attenzione le condizioni delle carceri e i diritti delle persone LGBTQ+.

Da quando Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, è detenuto nel carcere di Rebibbia, le sue pagine di Diario di cella hanno aperto uno squarcio inedito su una realtà spesso ignorata: quella della vita quotidiana dietro le sbarre. Attraverso i suoi racconti, l’ex primo cittadino restituisce un’immagine cruda e disarmante del sistema penitenziario italiano, tra sovraffollamento, degrado e diritti negati.

L’ultimo episodio da lui riportato — quello di due uomini gay costretti a condividere una cella angusta e priva di ogni forma di privacy — ha riacceso il dibattito sulle condizioni di detenzione e sul rispetto della dignità umana a Rebibbia, uno degli istituti simbolo del Paese.

Il racconto di Alemanno dal carcere di Rebibbia: due uomini gay nella stessa cella

Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e attualmente detenuto a Rebibbia dopo la condanna definitiva a sei anni per corruzione e finanziamento illecito, ha riportato nel suo Diario di cella un episodio che ha scatenato polemiche e reazioni nel mondo politico e civile.

Il racconto riguarda due uomini omosessuali costretti a convivere in una cella minuscola, progettata per una sola persona, priva di lavandino e con il WC a vista. L’ex primo cittadino scrive:

“Zoran e Joao Victor stanno realmente insieme nella stessa cella da una sola persona. Non solo, ma non hanno neanche il lavandino, mentre il WC è a vista senza nessuno schermo per difendere la privacy”.

La denuncia, diffusa dal suo staff sui social, è stata ripresa dai Radicali e da Arcigay, che hanno definito la situazione una “violazione sistematica dei diritti umani fondamentali”, chiedendo verifiche urgenti sulle condizioni delle persone LGBTQ+ nelle carceri italiane.

Zoran e Joao Victor a Rebibbia: storia di ordinaria follia da sovraffollamento o diritto all’affettività?

Secondo il racconto di Alemanno, Zoran — cittadino italiano di origine rom, noto per i suoi comportamenti instabili — era stato collocato in isolamento dopo aver distrutto il lavandino e tentato il suicidio. La cella, rimasta priva di lavabo e senza sorveglianza, è poi diventata la nuova sistemazione di Joao Victor, un detenuto brasiliano dichiaratamente gay che fino a quel momento era stato recluso in un’altra sezione priva di servizi igienici. Dopo giorni in condizioni disumane, l’amministrazione penitenziaria ha deciso di farli convivere “in assoluta intimità, di letto e di cesso”, come scrive Alemanno, montando un letto a castello in uno spazio di pochi metri quadrati.

L’ex sindaco si interroga con amara ironia:

Come vogliamo catalogare questa vicenda? Storia di ordinaria follia da sovraffollamento o brillante idea per garantire il diritto all’affettività?”.

Il riferimento è alla sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2024 che ha sancito il diritto dei detenuti a momenti di intimità con il proprio partner, un principio che, tuttavia, in gran parte degli istituti italiani resta lettera morta. Alemanno conclude il suo scritto con un appello:

Come vedete, non si sa se ridere o piangere. Ma sappiate che, a Rebibbia come in tutta Italia, siamo vicini al disastro. Nel frattempo ci auguriamo che qualcuno intervenga per riammettere Zoran e Joao Victor nell’ambito dei diritti elementari appartenenti a tutti gli esseri umani, anche se detenuti”.