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Studentessa condannata a 18 anni di carcere per i suoi tweet

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L'Arabia Saudita ha condannato una studentessa a 18 anni di carcere, per aver pubblicato dei tweet a sostegno dei prigionieri politici

Ill gruppo per i diritti ALQST, che documenta le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita, ha rivelato che il Tribunale penale specializzato ha emesso la sentenza nei confronti della 18enne Manal al-Gafiri, che aveva solo 17 anni al momento dell’arresto.

Arabia Saudita, studentessa condannata a 18 anni per i suoi tweet

La magistratura saudita, sotto il governo de facto del principe ereditario Mohammed bin Salman, ha emesso diverse condanne a pene detentive estreme per il cyberattivismo e l’uso dei social media per criticare il Governo. La pena contro Manal al-Gafiri è solo uno degli ultimi esempi della dura repressione di Riyadh contro qualsiasi forma di dissenso. Un altro caso simile è la condanna a 34 anni di carcere inflitta a Salma al-Shehab, dottoranda all’Università di Leeds nel Regno Unito per i suoi tweet. Altre volte le sentenze dei tribunali vanno addirittura oltre le pene detentive e sfociano nella condanna a morte, come nel caso della recente pena capitale emessa nei confronti dell’insegnante in pensione Mohammed al-Ghamdi per i commenti critici che aveva lasciato su YouTube e X, ex Twitter.

Le “leggi sbagliate”

Il principe ereditario ha dato la colpa a “leggi sbagliate”, che, a suo dire, non è capace di cambiare. “È in grado, con una parola o un tratto di penna, in pochi secondi, di cambiare le leggi se vuole“, ha dichiarato, invece, Taha al-Hajji, avvocato saudita e consulente legale dell’Organizzazione saudita europea per i diritti umani. Le condanne sono avvenute in base a una legge antiterrorismo approvata nel 2017, poco dopo che Mohammed bin Salman è diventato principe ereditario. Allo stesso tempo, due nuovi organismi, la Presidenza della sicurezza dello Stato e la Procura, sono stati istituiti con decreti reali. I gruppi per i diritti hanno, quindi, affermato che la revisione del 2017 dell’apparato di sicurezza del regno ha favorito in modo significativo la repressione delle voci dell’opposizione saudita, comprese quelle dei difensori dei diritti delle donne e degli attivisti.