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Sud Sudan: la guerra rimossa che prepara una nuova rotta

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Da oltre due anni, il Sudan vive una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.

La guerra tra l’esercito sudanese (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) ha trasformato il Paese in un inferno a cielo aperto, senza una fine all’orizzonte. Secondo le Nazioni Unite, gli sfollati interni hanno superato i dodici milioni di persone, mentre oltre quattro milioni sono fuggiti nei Paesi vicini — Ciad, Egitto, Etiopia, Sud Sudan — in quella che è la più grande ondata di esodi in Africa dalla Seconda guerra mondiale. Con il collasso economico e l’espansione della fame, si intravedono i segnali di un secondo esodo verso nord, in direzione del Mediterraneo e dell’Europa.

Dietro questo scenario umanitario si muove un vero e proprio duello di influenze regionali, in cui diverse potenze arabe e islamiche agiscono direttamente o indirettamente secondo i propri interessi. Il Sudan non è più solo un teatro di conflitto interno, ma una piattaforma geopolitica in cui si intersecano il progetto di influenza turco-qatariota, l’espansione iraniana e la competizione tra Paesi del Golfo e l’Egitto lungo il Mar Rosso e nel Corno d’Africa.

Dal 2023, l’Iran è tornato con forza sulla scena sudanese dopo anni di distanza: ha riallacciato i rapporti e, secondo analisi occidentali, ha fornito al SAF droni Mohajer-6 impiegati in operazioni in aree come Port Sudan e il Darfur, assicurandosi così un perno strategico sul Mar Rosso ma irrigidendo al contempo i rapporti di Khartoum con l’Occidente.

La Turchia, dal canto suo, ha ampliato la presenza nel dossier armamenti con la vendita dei droni Bayraktar TB2, che a inizio 2024 hanno temporaneamente alterato gli equilibri sul campo; parallelamente, Ankara ha intensificato l’attivismo politico sul fronte dei porti attraverso aziende a essa vicine. Per una Turchia che ha visto ridimensionarsi l’influenza in Libia, il Sudan rappresenta un’opportunità per recuperare spazio in Africa e lungo i corridoi commerciali tra Mar Rosso e Mediterraneo.

Il Qatar si muove con fili più sottili e discreti: secondo fonti diplomatiche e mediatiche convergenti, Doha ha offerto un sostegno politico e finanziario limitato a figure interne all’apparato militare e a personalità riconducibili al campo dell’“Islam politico”, nel tentativo di ricostruire un’influenza ideologica erosa dalla caduta di Omar al-Bashir nel 2019. Un appoggio che, seppur contenuto, fornisce una copertura ideologica a una guerra che alcuni attori sperano di piegare a progetti politico-religiosi ormai screditati nella regione.

Sul versante opposto, l’Egitto cerca un equilibrio tra la protezione del proprio confine meridionale e l’evitare un coinvolgimento diretto. Sostiene politicamente l’esercito sudanese, considerandolo “l’unica colonna legittima”, ma non nasconde la preoccupazione per la durata del conflitto. Al contempo, al Cairo vengono rivolte accuse in Sudan circa intese non dichiarate sul triangolo di Hala’ib e Shalatin, che molti sudanesi considerano territorio occupato: un fattore geopolitico che rende il SAF più esposto a scambi e pressioni regionali anche su dossier di sovranità.

Gli Emirati Arabi Uniti sono stati tra i più presenti sul piano umanitario e diplomatico: da un lato, Abu Dhabi — all’interno del formato del “Quad” insieme a Washington, Riad e Il Cairo — ha sostenuto sforzi di mediazione e cessate il fuoco e ha inviato aiuti su larga scala ai civili in Sudan e nell’est del Ciad; dall’altro, affronta accuse ricorrenti da parte della leadership militare sudanese di sostenere le RSF, accuse che gli Emirati hanno più volte respinto ufficialmente. Nel dibattito internazionale sono emersi anche dossier e denunce che collegano trasferimenti d’armi a dinamiche del conflitto, mentre Abu Dhabi insiste sul proprio impegno politico e umanitario.

L’intreccio di questi ruoli regionali ha creato un quadro talmente complesso che ogni nuova detonazione genera un nuovo movimento di fuga. Con il crollo dei servizi e delle infrastrutture, la disperazione si allarga. I dati dell’UNHCR mostrano che migliaia di famiglie rifugiate in Egitto e in Ciad stanno perdendo la speranza di rientrare, mentre reti di contrabbando sempre più organizzate sono attive lungo le rotte che, attraverso la Libia e il Niger, conducono al Mediterraneo. Alcuni riscontri giornalistici indicano che le difficoltà economiche e le restrizioni in Egitto stanno spingendo parte dei sudanesi verso la Libia e poi verso l’Europa. Se il conflitto dovesse continuare con la stessa intensità, le agenzie europee prevedono una crescita dei flussi in arrivo.

Fonte

  • UNHCR Operational Data Portal, “Sudan Situation” (aggiornato 2025). (UNHCR Data Portal)