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A 3 anni dal Decreto Dignità: lo stato dell’arte

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Stando ai dati forniti è lecito affermare che gli effetti del Decreto Dignità, in vigore ormai dal 14 Luglio 2018, non hanno avuto i risultati sperati.

In vigore ormai dal 14 Luglio 2018, il Decreto Dignità ha rappresentato per molti la possibilità di ottenere dei forti miglioramenti in ambito lavorativo, essendo stato promulgato proprio con lo scopo di apportare modifiche necessarie affinché si garantisse una maggiore occupazione e una conseguente diminuzione della precarietà, fianco ad altri interessanti cambiamenti.

Sono infatti diversi gli ambiti in cui la norma ha operato, tra questi si hanno:

  • la diminuzione del precariato: il decreto infatti, prevedeva riforme legate principalmente ai tipi di contratto, cercando di favorire la possibilità che quelli determinati non fossero prolungati oltre i 12 mesi o che fossero in alternativa trasformati in indeterminati dopo un certo periodo di tempo. Ha inoltre garantito incentivi ad aziende o in generale a datori di lavoro, come l’esonero contributivo del 50% nel caso di assunzione di persone al di sotto dei 35 anni, favorendo in questo modo l’occupazione giovanile
  • la diminuzione della delocalizzazione, con sanzioni che entrano in gioco nel caso in cui le aziende decidano di spostare la loro sede al di fuori dell’Unione Europea prima che siano trascorsi 5 anni
  • l’istituzione di controlli più stretti sul gioco d’azzardo, cercando di vietare la pubblicità, identificando con maggiore precisione i casino AAMS online che operano correttamente e immettendo l’obbligo di indicare su slot e gratta e vinci una scritta recante le parole “Nuoce alla salute”
  • la semplificazione fiscale, con novità quali lo spesometro, per la comunicazione delle operazioni relative all’IVA e il redditometro, per il calcolo del reddito del contribuente. Per il primo sono state messe in atto delle modifiche relativamente ai tempi di invio dei dati; il secondo invece è stato reso inapplicabile per gli anni successivi al 2015.

Un ulteriore settore modificato risulta essere anche quello sportivo, in quanto il decreto ha provveduto, con l’art. 13, all’abrogazione delle società sportive lucrative e le rispettive agevolazioni, garantendo un ritorno alle forme giuridiche del 2017.

Inizialmente la legge di Bilancio 2018 aveva consentito alle associazioni sportive dilettantistiche di svolgere attività con scopo lucrativo a determinate condizioni, per poi fare un passo indietro.

Nello specifico sono stati aboliti i commi 358 e 359 della finanziaria 2018.

  • Secondo il comma 358 spettava al CONI, organismo che regola lo sport in Italia, stabilire quali prestazioni sportive agevolare fiscalmente.
  • Il comma 359 prevedeva invece che i compensi derivanti dai contratti di collaborazione tra società sportive dilettantistiche riconosciute costituiscono redditi diversi. Esso garantiva maggiore certezza giuridica relativamente alla tipologia dei redditi.

In entrambi i casi, ciò che si ottiene è un rilevante senso di confusione dovuto alla mancanza di criteri d’organizzazione stabili.

Gli effetti del Decreto Dignità

Grazie alle indagini condotte da parte delle istituzioni Inps e Istat, si ha la possibilità di tirare le somme dei risultati di questo decreto.

Secondo i dati forniti dall’Inps, nel 2019 l’occupazione ammontava a +338 mila unità rispetto alle +420 mila dell’anno immediatamente precedente. Si è dunque avuto un numero alto di lavoratori ma con risultati chiaramente inferiori rispetto a quelli ottenuti negli anni precedenti e non si può per questo dire che ci sia stato un miglioramento in ambito lavorativo.

Inoltre, alcune investigazioni condotte da parte anche di periti del lavoro hanno fornito informazioni aggiuntive in merito al comportamento di alcuni datori di lavoro che avrebbero potuto determinare una modificazione degli indici registrati. Innanzitutto, il numero di contratti a tempo indeterminato ha subito un aumento, pari a circa +353 mila unità per via della conversione dei contratti a termine. Secondo molti, gli stessi datori di lavoro hanno anticipato la conversione stessa non ulteriormente prorogabile.

Tutto ciò ha determinato:

  • una diminuzione dei contratti a termine di -184 mila unità
  • una riduzione dei contratti a somministrazione di -10 mila unità
  • un aumento contratti in apprendistato di +77 mila unità
  • un maggior numero di contratti che vanno al di fuori dei vincoli del decreto, tra cui contratti stagionali e intermittenti, ciascuno di circa +50 mila unità

Per quanto riguarda i dati Istat, questi certificano un’avvenuta crescita dell’occupazione nei primi mesi di vigenza, precisamente di +114 mila occupati.

È però bene specificare che l’aumento dell’occupazione citato precedentemente ed equivalente a +0,5% risulta essere in realtà dimezzato rispetto all’anno precedente, la cui percentuale è pari a +1,2%. Inoltre, l’incremento è accompagnato da:

  • la diminuzione del tempo indeterminato pari a -0,4%
  • l’aumento di occupati al termine del +4,9%

I dati Istat testimoniano anche la situazione lavorativa femminile, su cui ci si concentra proprio per via delle allarmanti percentuali ottenute dalle investigazioni:

  • più della metà delle donne rientra nella percentuale dell’aumento di occupanti con contratto a tempo determinato, con +75 mila unità su 142 mila
  • sono inoltre quasi esclusivamente donne le protagoniste del sostanzioso calo di unità a tempo indeterminato, pari a -43 mila unità su di un totale di -53 mila

Un’ultima interessante considerazione da fare in merito al Decreto riguarda certamente i risultati avuti relativamente alla popolazione giovanile. È stata infatti certificata la forte diminuzione di assunzione con contratti a tempo indeterminato e il conseguente incremento di contratti a tempo determinato, producendo in questo modo un effetto totalmente inverso a quello auspicato.

Stando ai dati forniti è lecito affermare che gli effetti del Decreto non hanno avuto i risultati sperati.

Le problematiche di questo sistema si stanno rivelando sempre di più e in numero maggiore anche in virtù della situazione economica attuale resa peggiore dagli effetti della pandemia. Diversi esperti consigliano quindi di ridare nuovamente valore ai contratti a termine in quanto essi meglio si prestano alle esigenze di lavoratori e datori di lavoro.