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Strage di via d'Amelio, Borsellino predisse la verità: "La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno"

Borsellino Paolo

Nel giorno del trentunesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino ricordiamo la sua confidenza alla moglie Agnese riguardo i rapporti tra la mafia e organizzazioni a essa esterne

19 luglio 1992 – 19 luglio 2023. Tra gli abissi di Cosa nostra non c’è solo la criminalità organizzata. «Mi ucciderà materialmente la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno» confidò Paolo Borsellino alla moglie Agnese. Ma cosa c’è nel dettaglio dietro le parole del magistrato? Vediamolo nel giorno del trentunesimo anniversario della sua morte.

Una complessa ricostruzione dei fatti

Gli stessi giudici hanno descritto la strage di via d’Amelio come «il più grande depistaggio della storia d’Italia», una vicenda all’ombra di una «partecipazione morale e materiale di altri soggetti (estranei – si fa per dire – a Cosa nostra, ndr)»: c’erano veri e propri gruppi di potere interessati a che il magistrato venisse fatto fuori. Nella sentenza sul depistaggio del 12 luglio 2022 i giudici di Caltanissetta prescrissero i due investigatori della polizia Mario Bo e Fabrizio Mattei, accusati di favoreggiamento, e assolto un terzo Michele Ribaudo: i tre facevano parte della squadra guidata da Arnaldo La Barbera che indagava sulle stragi Falcone e Borsellino. Gli stessi agenti avevano messo su la storia del falso pentito Vincenzo Scarantino, inducendolo a lanciare accuse del tutto inventate. Furono scagionate sette persone condannate all’ergastolo, quando il (vero) pentito Gaspare Spatuzza ricostruì uno scenario della strage completamente diverso.

Verità nascoste

L’ombra dei servizi segreti ha coperto la luce in vari momenti dell’indagine. Tra i primi a raggiungere il luogo dell’attentato e a mettere mano sulla borsa in cui Borsellino teneva un’agenda rossa con le annotazioni sulle sue indagini, gli 007 hanno fatto sparire quell’agenda (mai più ritrovata) e con essa la verità nascosta che vi era scritta all’interno. In questa vicenda i servizi segreti non avrebbero dovuto minimamente entrare, eppure la loro irruzione sembra essere stata avallata sia dal prefetto Arnaldo La Barbera che dal procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra. Entrambi morti. «Tra amnesia generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni […] e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative» confermano i giudici. Trentuno anni dopo: le responsabilità esterne giacciono ancora occultate negli abissi, sempre più bui. E «gli altri»? Che fine hanno fatto?