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Cannibalismo medicinale, pratica in uso fino al XVII secolo

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Il cannibalismo, anche se oggi lo consideriamo osceno e vietato, fu praticato a lungo dai nostri antenati.

Il cannibalismo, o più tecnicamente l’antropofagia, è una pratica che consiste nel mangiare i propri simili. La parola antropofagia deriva dal greco e significa “mangio uomo”. Questa pratica che nei tempi moderni è considerata oscena e disgustosa in realà fu praticata per molto tempo e da molto tempo. I primi segni di questa pratica si sono riscontrati durante il Paleolitico. Il fatto risale e a più di 800.000 anni fa e fu per opera del cosiddetto Homo Antecessor. Accadde in Spagna, precisamente a Gran Dolina. I resti fecero emergere evidenti segni di macellazione, scorticamento, rimozione della carne e del midollo. Una cosa decisamente disgustosa ma che, a quanto pare, era considerata normale.

Cannibalismo nell’antichità

Anche nelle Americhe si potè riscontrare la presenza di cannibalismo. Alcuni reperti trovati in vari siti archeologici abitati tra il 1150 e il 1200 dagli indiani Anasazi, dopo essere stati analizzati confermerebbero questa pratica. Ci furono prove concrete che emersero da esami biologici al microscopio elettronico che furono condotti durante gli anni novanta. Le ossa ritrovate furono bollite, e in un recipiente utilizzato per la cottura, furono ritrovate alcune tracce di mioglobina umana, ovvero una delle proteine presente nei muscoli umani. Il Brasile è un altro luogo famoso per questa pratica. Molti alla fine del 1600 infatti morirono per opera dei cannibali tra cui alcuni conquistadores spagnoli e i missionari cristiani.

Cannibalismo rituale

Il cannibalismo non è soltanto un istinto collegato al bisogno di mangiare. Al contrario fu particolamente utilizzato come scopo rituale. L’Africa è sempre stata la culla di questi rituali. I più famosi provengono dal cosiddetto popolo Niam Niam che significa “grandi mangiatori”. Essi compaiono anche nei più antichi testi Medioevali. Molto conosciuti sono anche gli uomini leopardo che agirono prevalentemente dal XIX secolo al XX secolo, quindi in epoca moderna.

Altri scopi

Il cannibalismo però venne praticato anche per altre esigenze tra cui la carestia, la guerra e quindi per sopravvivenza, ma non solo. La professoressa Louise Noble, insegnante di letteratura inglese presso l’Università del New England, in Australia, ha condotto degli studi su alcuni testi del XVI° e XVII° secolo. Strada facendo fece una scoperta incredibile, e se vogliamo aggiungere, anche agghiacciante. Nella nostra epoca forse questo può sembrare totalmente assurdo ma per gli europei di qualche secolo fa non era proprio così. All’interno della letteratura europea di quel periodo (a scuola non lo dicono) nelle opere di Shakespeare, John Donne, Edmund Spencer, si può riscontrare la presenza della parola mummia. Ma perché mummia? Perché i resti umani conservati, (o freschi), erano ingredienti utilizzati per i rimedi medici.

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Cannibalismo in Europa

Louise Noble non fu l’unica ad applicarsi nella ricerca di questi eventi di cannibalismo. Insieme a lei ci fu anche il professor Richard Sugg appartenente all’Università di Durham. I due, insieme, hanno fatto emergere che in Europa in quel periodo vi era una consuetudine piuttosto insolita. Per centinaia e centinaia di anni, ma più diffusamente nel XVI e XVII secolo, moltissimi europei tendevano a prendere medicine il cui ingrediente principale era l’uomo.

Queste medicine contenevano infatti ossa umane, sangue e grasso. Queste venivano usate come rimedi talvolta per il mal di testa o per l’epilessia. Per adempiere a questo scopo alcuni venivano anche sopresi a rubare e frugare all’interno delle tombe egizie. Allo stesso modo, e per lo stesso scopo, anche alcuni teschi furono profanati dalle tombe irlandesi. I becchini invece, si dedicavano all’asportazione e alla vendita di alcune parti del corpo dei defunti di cui avrebbero dovuto occuparsi.

Nello specifico

Secondo i dati emersi dalla letteratura analizzata dai due professori le tecniche e le materie prime erano molteplici. Secondo gli abitanti di quel periodo le mummie egizie erano la materia prima migliore. Venivano sbriciolate e mescolate insieme ad altri itrugli per curare le emorragie interne. I teschi venivano invece polverizzati e utilizzati per curare i mal di testa. Il grasso umano invece veniva usato ad uso non frequente per curare e medicare le ferite.

L’ingrediente maestro di tutti era però il sangue. Questo, soprattutto se bevuto o utilizzato fresco, si diceva contenesse ancora la vitalità della vita che lo aveva appena lasciato. Un medico svizzero di nome Paracelso, anch’egli vissuto nel XVI secolo, confermò questa tesi. Per recuperare il sangue fresco ovviamente c’era un metodo. Pagando del denaro si poteva avere una tazza di sangue ancora caldo da parte del boia. Ebbene sì, i condannati a morte erano le prime cave d’estrazione di questo “filtro” curativo. Anche i romani utilizzavano bere il sangue dei gladiatori morti e lo scopo era acquisire la loro stessa forza.