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Caso Sacchi, perchè il crimine fa da traino ai leader politici italiani

morte luca sacchi

"L'unico teorema davvero valido è che in Italia il crimine paga e come: per i criminologi da salotto e per gli arruffapopolo da piazza".

Ma da quand’è che i leader politici italiani mettono la cronaca nera a traino delle loro strategie di consenso? Praticamente da sempre. E da quando lo fanno con i proclami e senza la spinta propulsiva di legislazioni concrete che marchino la loro azione? Da pochissimo. Praticamente da quando esistono i social, le Bestie e Salvini, che del ‘tipo’ è archetipo e somma, ma non certo unico rappresentante.

Caso Sacchi, il consenso con la cronaca nera

Proprio l’ex titolare del Viminale se le sta dando come un fabbro in queste ore con il premier Conte in merito all’uccisione di Luca Sacchi, il giovane ammazzato a Roma mentre cercava di difendere la fidanzata da una rapina. Leggiamo, ché fa tanto sentimento unito a senso civico altissimo: “Oggi, commosso e addolorato, prego per Luca e sono vicino alla sua famiglia. Ma sono anche incredulo e sdegnato perché è inconcepibile quello che è accaduto. Da ex ministro dell’Interno fa ancora più male vedere tutta l’insicurezza della Capitale governata dai 5Stelle e i tagli disastrosi che Renzi, Conte e Zingaretti fanno al fondo per le forze dell’ordine”. Manco a dirlo, Conte gli ha risposto per le rime annunciando solenne che lui ora rischia di incazzarsi davvero: “Se qualcuno si permette di fare speculazione in campagna elettorale su un episodio del genere lo trovo miserabile. Se c’è da parlare di sicurezza in modo serio lo facciamo (…). Interrogatevi un po’ su chi poteva farlo prima e non l’ha fatto. E tutto questo senza toccare le risorse per i rinnovi contrattuali”.

Crimine e social, la “battaglia” dei politici

Insomma la nera paga perché nella nuova etica mediatica che bypassa il giornalismo e sale in arcione ai social mette a nudo i re e serve a dare la cifra della effettiva vicinanza dei governi alle istanze di sicurezza dei cittadini. Il fenomeno lo sperimentò perfino Romano Prodi, che fresco di insediamento a Palazzo Chigi nel 2006 mise timido ma fiero cappello al fotofinish all’arresto nientemeno che di “Binnu” Provenzano. La “Pista del bucato” per arrestare il padrino diede i suoi frutti proprio 24 ore dopo che l’Unione aveva staccato di poche migliaia di voti la Casa delle Libertà e fra chi lasciava la poltrona e chi ci poggiava chiappa scoppiò un putiferio per accaparrarsi le grazie dei poveri cristi in divisa che avevano dimenticato perfino come ci si lava per fare il colpaccio. Solo che fu putiferio lieve, interno alle stanze del potere, empiricamente improponibile e subito sommerso dalla rotonda bellezza di vedere una coppola storta chiusa nel carcere di Terni dopo millemila giorni di latitanza beffarda.

Troppi esecutivi in Italia

E il guaio è questo: lo Stato come entità morale, specie quando fa centro ma ancor più quando “cilecca” o espone il fianco a critiche, è un totem che ormai la politica deve venerare ma con cautela o pitturare con decisione, in ogni caso non lo puo’ ignorare perché le emozioni della base sono ormai massive e immanenti, grazie al web. Cogliere l’usta da ogni fatto di sangue per spremere da esso il succo della bevanda amara da propinare in strozza all’avversario politico è però un’altra cosa, è il passo indietro successivo, è barbaro e incivile. Tra l’altro è inutile, visto che i problemi atavici delle forze dell’ordine sono ormai da tempo scollegati dalle azioni dei singoli governi e dalla specificità della loro azione legislativa. Perché? Per un motivo semplice quanto ottusamente ignorato: perché in Italia gli esecutivi si avvicendano in maniera troppo veloce, frenetica a volte, per consentire che una svolta legislativa su un tema delicato come la sicurezza abbia il tempo di manifestarsi, consolidarsi ed eventualmente mostrare i suoi frutti empirici nella realtà quotidiana. Quelle che si percepisce è solo un’insicurezza ribelle ad ogni schema ma utile per ogni bottega. Quel che resta infatti è la becera terra di mezzo in cui il defenestrato di turno si mette appollaiato sul filo e attende che qualche delinquentone fatto e finito assecondi la sua natura criminale e spanci un qualunque povero cristo. A quel punto scatta la reprimenda, come se fosse già appurato e pacifico che proprio nello specifico di quel crimine la carenza di mezzi e uomini è stata il fatale distinguo fra un epilogo di sangue e la possibilità che tutto finisse bene.

Pensieri dei leader del terzo millennio

Non è così, maledizione lo sappiamo tutti che non è mai stato così e che la distanza fra il teorema e la dimostrazione nella vita reale non è come in matematica ed ha cento, mille unità di misura, specie nelle contortissime dinamiche criminali. Ovvio che più divise, stipendi migliori e mezzi potenti possono fare la differenza, altrettanto ovvio che il nesso causa effetto fra un singolo crimine e quelle situazioni è dato mobilissimo, da cui stare alla larga per raziocinio e tatto. Però loro insistono. badate bene, i leader del terzo millennio del Bel Paese si dispiacciono davvero, se un cittadino muore ammazzato per mano di un criminale, però proprio non ci riescono ad evitare di schiaffare una mano di vernice populistica su quelle bare ancora tiepide. Non più l’ideologia divaricatoria che separò le acque fra Stato e una certa fetta di popolo con Giorgiana Masi, ma un sottile senso di rivalsa che si insinua, cade e scade nell’etica del “se c’ero io poteva non succedere, sappilo, o madre”. L’unico teorema davvero valido è che in Italia il crimine paga e come: per i criminologi da salotto e per gli arruffapopolo da piazza.