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Più di 60 aziende cercano di registrare il marchio "coronavirus"

Si può registrare il marchio "coronavirus"?

CoronaVirus Wines: c'è anche un'azienda italiana tra le 60 che hanno provato a registrare il marchio coronavirus, senza successo.

Oltre 60 aziende in tutto il mondo hanno provato a registrare il marchio “coronavirus, tra queste anche tre italiane. La richiesta di deposito del marchio, però, non è stata accettata, perché ritenuto illecito. In secondo luogo, è davvero una buona idea a livello di marketing?

Perché non si può registrare il marchio “coronavirus”

Più di 60 aziende in tutto il mondo hanno provato a registrare il marchio coronavirus, covid-19 o simili. Il deposito del marchio può essere effettuato in due modi: deposito nominativo (prevede la registrazione del nome) oppure deposito figurativo (prevede la registrazione di un’immagine, in questo caso del virus). Una delle richieste viene dall’Italia: un’azienda vinicola ha cercato di depositare il marchio CoronaVirus Wines.

Al di là dell’efficacia, è lecito registrare questo marchio? Secondo Rosa Mosca, esperta di proprietà intellettuale di Rödl & Partner, un marchio per essere registrato deve essere in possesso dei requisiti della novità, capacità distintiva e liceità. In questo caso la parola coronavirus è entrata nel vocabolario comune di tutto il mondo, oltre ad essere un nome scientifico. Per queste ragioni mancano i criteri di novità e di distinzione. Inoltre, è difficile stabilire la natura giuridica del marchio e garantire che i depositari non ne facciano un uso illecito o dannoso.

Non è una buona idea di marketing

Non c’è nessuna garanzia che a livello di marketing questo nome faccia buona figura: brandizzare un prodotto con questo nome non è una buona mossa per fare pubblicità o comunicazione. Infatti si tratta di abbinare a un prodotto il nome di un virus che, nell’immaginario comune, ha mietuto decine di migliaia di vittime in tutto il mondo.

“L’equazione virus uguale malattia, infatti, è la prima immagine che viene in mente ai consumatori, che poi automaticamente la trasferiscono sul prodotto stesso (come testimonia il caso della birra Corona, ndr) – commenta Luciano Nardi, uno tra i più noti pubblicitari italiani riconosciuto a livello internazionale – Voi mangereste mai un biscotto Coronavirus? O magari berreste un bicchiere di vino Covid annata ‘19? Per assurdo, nemmeno come titolo per un videogame violento potrebbe essere adatto”.