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Carenza dei medici specialisti: entro il 2025 ne mancheranno 25mila

Inchiesta sulla carenza di medici specialisti

In soli 5 anni si potrebbe aprire una voragine che non fa differenza tra Nord e Sud: come arginare il problema della carenza di medici specialisti?

Il mantra delle ultime settimane è quello di investire sulla sanità. Con un piano massiccio per garantire un miglioramento del servizio, tornato una priorità durante la pandemia di Covid-19. La solenne promessa è stata fatta anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha parlato di riforma “copernicana” del settore. Una presa di posizione importante, certo. Ma bisogna fare presto, anzi prestissimo. E probabilmente attingere a qualsiasi risorsa a disposizione, compreso il Mes. Il motivo? Entro il 2025, potrebbero mancare all’appello qualcosa come 25mila medici specialisti. Beninteso, non è una carenza di medici tout court, ma riguarda solo le figure specializzate (internisti, infettivologi, pneumologi, cardiologi e altri ancora). Il problema resta, indipendentemente dalla tipologia di medico. Ed è un macigno sul Sistema sanitario nazionale (Ssn): tra appena cinque anni si può aprire una voragine, che ricadrà sulle spalle dei pazienti. Al deficit attuale, infatti, si aggiungerà quello legato ai pensionamenti in programma. Senza considerare gli effetti di Quota 100.

Carenza di medici specialisti: il quadro regionale

In alcune regioni, ci sarà un buco che va anche oltre i 2mila medici specialisti. Una ricerca di Anaao Assomed, sindacato medico italiano, ha individuato i casi più critici. La Sicilia è il “malato più grave”: entro il 2025 avrà un vuoto di 2.251 medici specialisti, suddivisi – secondo la ricerca – “in 356 medici, igiene e medicina preventiva con 196, anestesia e rianimazione con 153, chirurgia generale con 141, medicina interna con 66, pediatria con 471, psichiatria con 126, ginecologia con 180, ortopedia con 78 e radiologia con 67”. E per una volta Nord e Sud non presentano grosse diversità. Anzi. Il secondo caso più preoccupante è infatti il Piemonte, con un ammanco di 2.004 unità e “carenze maggiori per medicina emergenza ed urgenza, 194 medici, anestesia e rianimazione, 213 medici, medicina interna, 154 medici, chirurgia generale con 148 medici, pediatria 274 medici, neurologia, 72 medici ed ortopedia 73 medici”, stando al dossier redatto dall’Anaao.

A completare il podio, tutt’altro che ambito, un’altra regione che è stata al centro dell’attenzione a causa dell’epidemia di Covid-19: la Lombardia, che avrà una mancanza di 1.921 medici specialisti. “Le carenze principali riguarderanno pediatria con 510 unità, anestesia e rianimazione con un ammanco di 315 unità, la chirurgia generale con 159, la psichiatria con 165, la medicina dell’emergenza e urgenza con 177, igiene e medicina preventiva con 127 e la medicina interna con ben 377 medici”, si legge ancora nello studio.

E il virus del personale mancante non risparmia nemmeno una regione del Centro Italia, come la Toscana, che dovrà far fronte al vuoto di oltre 1.700 unità. Una situazione simile alla Puglia, per cui si prevede un -1.686, non proprio tranquillizzante. E a seguire ci sono la Calabria (-1.410), la Sardegna (-1.154), la Campania (-1.090). Addirittura l’Emilia-Romagna, spesso indicata come modello per la sanità, senza un intervento avrà un buco di 597 medici. Dati simili al Veneto (-510), altra regione assurta a modello soprattutto nei giorni dell’ondata di Coronavirus.

In generale l’ammanco toccherà tutti, con la sola eccezione del Lazio che sembra poter garantire la copertura dei ruoli richiesta. Ma un caso non è sufficiente a smorzare quella che si configura come un’autentica emergenza nazionale.

Finanziamenti e tagli impliciti

L’analisi, peraltro, non sorprende: il finanziamento del Ssn è andato a rilento, con tutti i governi al di là del colore politico. I dati ufficiali del Ministero della Salute sono inequivocabili: dai 106,905 miliardi di euro del 2011 si è passati ai 114,474 del 2019. Un incremento di fondi inferiore a 8 miliardi di euro. Certo, in termini numerici non ci sono stati tagli. “Ma l’inflazione è stata più alta del rifinanziamento del Sistema sanitario nazionale”, osserva Carlo Palermo, segretario di Anaao Assomed. C’è stato perciò un taglio implicito. “Oggi abbiamo – aggiunge Palermo – un finanziamento ridotto del 30% rispetto agli altri Paesi europei a noi vicini, Francia, Germania, Austria, Svizzera. Nello specifico questo ha comportato una riduzione del personale: dal 2009 al 2018 si è creato un deficit di oltre 6.200 medici specialisti”. Le prospettive sono a tinte fosche: “In pochi anni – spiega l’Anaoo – ci saranno tanti pensionamenti, relativi ai medici assunti con la costituzione del Sistema sanitario nazionale. Così la bilancia tra uscite ed entrate, porterà a un totale di 25mila medici specialisti mancanti”.

Due possibili soluzioni

Per sbloccare l’impasse, la richiesta dell’Anaao è netta: bisogna attivare le linee di credito del Mes, “perché metterebbe a disposizione fin da settembre i miliardi necessari a rifinanziare il Sistema sanitario”, chiosa Palermo, per il qualo lo scopo è quello di aumentare i contratti di formazione specialistica. Mes a parte, l’azione del governo sembra andare in direzione opposta. C’è quasi una disincentivazione sulle specializzazioni.

Una questione è stata denunciata in Parlamento dal senatore di Forza Italia, Marco Siclari, con un’interrogazione rivolta al ministro dell’Università, Gaetano Manfredi. Cosa è successo in pratica? C’è stata l’attivazione di una clausola, introdotta 18 anni fa e mai applicata, per cui uno specialista non può praticamente cambiare corso dopo il primo anno, come avviene oggi. O comunque deve assumersi un rischio troppo elevato. Spiega Siclari a Notizie.it: “Il concorso prevede l’indicazione di tre scelte tra le varie specializzazioni, e poi optare per un corso in base al punteggio. Per intenderci: se uno studente vuole diventare ortopedico, partecipa al primo concorso e magari non va bene. Così deve indicare un’altra soluzione, un’alternativa, per esempio l’oculista”. Quindi accade che lo specializzando deve adeguarsi per il primo anno, studiando da oculista, per riprovare eventualmente l’anno successivo il concorso da ortopedico. Se nemmeno la seconda volta dovesse andare bene, lo specializzando potrebbe proseguire gli studi da oculista senza problemi.

“Con la clausola attivata – ribadisce Siclari – lo studente dovrebbe rinunciare a tutto, quindi compresa l’iscrizione alla specializzazione di oculista, e tentare il secondo concorso da ortopedico. Ma se non dovesse andare bene perderebbe tutto. In questo modo si crea un ostacolo per chi vuole assecondare la propria inclinazione, inseguire il proprio sogno professionale”. Per questo il senatore di Forza Italia, attraverso l’interrogazione, ha chiesto ai ministri Manfredi e Speranza di intervenire sulla norma. Anche perché, come si legge nel testo depositato a Palazzo Madama, può creare “gravi distorsioni del sistema” ed è “lesiva del principio di affidamento e di parità di trattamento”, in quanto “impedirebbe la chance della libera partecipazione alla scuola di specializzazione preferita”. Soprattutto creando un pesante disincentivo, di cui non si avverte bisogno.