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Stupro di Pisticci, la comunità ha colpe che ora finge di non avere

Stupro di Pisticci: violenza e responsabilità sociale di una comunità

Chi si è macchiato di un atto così vile deve pagare e la giustizia contribuirà a farlo. Ma equivarrebbe fare un torto alla comunità non ammettere anche la nostra responsabilità.

Ci sono fatti di cronaca della provincia che sanno essere, alla stregua di un libro di Truman Capote, la radiografia di un intero Paese. Lo stupro, perpetrato da almeno quattro ragazzi ai danni di due minorenni inglesi la notte fra il 7 e l’8 settembre a Marconia di Pisticci, è fra gli episodi dove la linea che divide una tragedia dal quotidiano è così sottile da essere brutale.

Michele, Giuseppe, Alessandro, Alberto: sono i nomi dei quattro ragazzi arrestati. Quattro giovani, dai 19 ai 23 anni, considerati “normali” fino a pochi giorni fa. Questi angeli caduti, che l’indignazione collettiva affastella di epiteti quali “animali, balordi, parassiti”, all’improvviso non sono più tollerati per le strade, le stesse che un tempo erano lo spazio dove poter dare prova di sé al mondo.

Quelle facce onnipresenti nel lessico comunitario, impastate di tatuaggi e note che parlano di cash e bitches, sono diventate una visione inaspettata, infernale. Nella narrazione che si fa oggi, questi ragazzi sono grotteschi nei loro codici trap, provenienti da famiglie incomplete. Conosco alcune di loro: sono uomini e donne con la testa sulle spalle, che tra sacrifici e difficoltà non puntavano alla perfezione, ma ad adempiere al loro ruolo di genitori, con le capacità a disposizione.

Giudicare la condotta vile di chi è coinvolto spetta alla magistratura e un’indignazione collettiva, mista a un senso di vergogna, sono sentimenti sani per la nostra società. Ma nella brutalità di un branco senza scrupoli, va da sé chiedersi se questi giovani predestinati ad inseguire il mito del bad guy, non siano la cicatrice infetta di un mondo di adulti che ha preso ad ignorarli. Lo spazio che divide loro da noi è così sottile che tutti, davanti a episodi così tragici, siamo chiamati a fare i conti con i nostri limiti.

Per esprimere vicinanza alle vittime, le comunità di Pisticci e Marconia hanno appeso fiocchi rosa davanti alle loro case. Per esprimere lontananza verso i carnefici, sui social si è diffuso l’hashtag #voinonsietepisticci. Due sentimenti opposti, ma ambivalenti: l’accoglienza dello sconosciuto, l’esclusione del conosciuto. Questa storia ha offerto al senso di colpa comunitario l’illusione che basti dispiacersi, finanche indignarsi, per sgravarsi da ogni peso. Ma questo atteggiamento può essere un abuso, perché esclude la reciprocità. La linea perfetta tracciata da un hashtag non basta a dilavare la responsabilità di una comunità che ora si oppone a quattro ragazzi che erano dietro la porta di casa nostra.

Le comunità piccole come Pisticci, o come Colleferro, dove è stato barbaramente ucciso Willy Monteiro, funzionano alla stregua di un sistema solare: i corpi celesti girano attorno a un unico sole e non c’è modo che una cosa sia nascosta per sempre. Per quei quattro giovani violenti l’inferno era già in quell’essere l’unica misura di se stessi. Ma l’inferno in cui uno è protagonista ed esecutore è lo stesso che l’altro guarda come spettatore.

Chi si è macchiato di un atto così vile deve pagare e la giustizia contribuirà a farlo. Ma equivarrebbe fare un torto alla comunità non ammettere anche la nostra responsabilità. Come adulti, incapaci di accogliere il disagio dei più giovani. Come cittadini, spinti dal costante scollamento dalle nostre responsabilità, tanto da diventare sordi e ciechi al disagio quotidiano. Dov’era ieri l’atteggiamento accogliente di oggi? Dov’era la ricerca di comprensione davanti alla solitudine di tanti giovani? Se ci voleva l’urlo tragico di due minorenni inglesi per strappare il velo, questa è una domanda che tutti abbiamo il dovere di porci.

Domandiamocelo. Altrimenti, schieriamoci ancora “contro di loro”. Facciamolo in nome di una comunità, o una patria che ora decliniamo al femminile, rincorriamoli questi carnefici con le collane cheap e il mito dei soldi. Ma non parliamo contro il loro nome quando reiteriamo quegli stessi, infidi atteggiamenti del patriarcato fra le mura di scuola o di casa, anche solo girandoci dall’altra parte, magari nascondendo la realtà dietro l’ennesimo hashtag.