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La verità è che "hanno solo ucciso un immigrato" non lo pensa solo la famiglia Bianchi

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Lo hanno detto in pochi ma pensato in tanti: Willy Monteiro ha un cognome troppo esotico per sentirselo davvero come un figlio, un amico.

Dai, facciamoci coraggio, proviamo a dire quello che in molti non hanno il coraggio di dire e insistiamo. C’è in giro moltissimo sdegno per la frase pronunciata dai famigliari di Marco e Gabriele Bianchi, arrestati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro insieme a altri due: “Non hanno fatto niente di grave, hanno solo ucciso un immigrato” hanno detto candidamente alla giornalista di Repubblica Federica Angeli. E l’hanno detto convinti di pronunciare una frase ragionevole perché in fondo il vento è questo, perché in fondo Willy Monteiro Duarte ha un cognome troppo esotico per sentirselo davvero come un figlio o come un compagno di scuola di uno dei nostri figli, ha la pelle troppo scura per essere italiano come intendono gli italiani quelli che li vorrebbero bianchi, cattolici, preferibilmente di destra, preferibilmente xenofobi.

E infatti è bastato aspettare qualche ora perché sui social si accendessero i conati di quelli che in fondo hanno addirittura fatto bene ad ammazzarlo quello scimpanzé, come ha scritto un coraggiosissimo utente Facebook che poi, come si conviene ai vigliacchi, ha detto che gli hanno rubato il profilo e che non è stato lui. E infatti basta girare sui social, su un social qualsiasi, per leggere i commenti di chi dice che si sta facendo troppo rumore, la solita vecchia solfa di quelli che sono anti-anti-razzisti e vorrebbero convincerci che le vere vittime siano loro.

Qualcuno si chiede: “Avresti fatto tutto questo casino anche per un italiano”? Una domanda che fotografa perfettamente quello che siamo diventati: incapaci di essere empatici perfino con il nostro vicino di pianerottolo rivendichiamo il diritto (e addirittura il dovere) di non preoccuparci di uno che ha origini che sentiamo straniere. Qui non conta essere italiano di cittadinanza: qui per essere italiano devi essere accettato da una certa cerchia che giudica in base a parametri bigotti.

Dai, facciamoci, coraggio. Diciamo anche che mentre si continua a parlare di palestre e di arti marziali, guardando il dito e perdendosi la luna, ci si dimentica dei modelli culturali che ci sono stati proposti in questi ultimi anni, ci si dimentica della fisicità e della muscolosità anche lessicale che inonda il dibattito pubblico, ci si dimentica della violenza che viene sparsa ogni minuto nelle discussioni mentre stiamo seduti comodamente sul divano, ci si dimentica dell’approccio guerresco che ormai è lo stile con cui affrontare qualsiasi conversazione.

I famigliari dei Bianchi si sono fatti scappare quello che hanno pensato in tanti. Willy non era italiano di quegli italiani che sfoggiano la propria ignoranza sentimentale e che credono nel bullo, nel forte, nell’asfaltare l’avversario, nel grugno duro come manifesto di mascolinità, nel menar le mani per affermare le proprie opinioni, nel punire, quelli che la menano con l’onore e poi si mettono in quattro contro uno, con un mingherlino, con un altruista, un sorridente, floscio, un debole. Un non italiano, appunto.