> > Coprifuoco, gli scontri a Napoli sono un atto camorristico

Coprifuoco, gli scontri a Napoli sono un atto camorristico

proteste napoli

A Napoli rancore sociale e mire criminali hanno trovato combustibile e spazio per ingaggiare un corpo a corpo con le istituzioni, che ora devono reggere l'onda d'urto e mettere in sicurezza la democrazia.

C’era chi l’aveva previsto. Nessuna chiromanzia o poteri paranormali. Chi è dentro le viscere di Napoli ne conosce i meccanismi e le dinamiche oscure. La guerriglia che ha messo a ferro e fuoco, la notte fra il 23 e il 24 ottobre, le strade della città è un atto camorristico.

Agire con raid precisi e strategici in punti delicati di Napoli: dal Centro storico al blocco delle piazze passando per il Lungomare era un canovaccio già scritto per provocare caos urbano. Azioni di distrazione per attirare e disperdere le forze dell’ordine e poi colpire un obiettivo simbolico: Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania.

Un gruppo incappucciato di professionisti della violenza è spuntato dalle tenebre del Pallonetto di Santa Lucia e con modus operandi paramilitare, su più fronti ha stretto a sandwich i reparti celere di polizia e carabinieri disposti in assetto antisommossa.

Prima le barricate con cassonetti dei rifiuti dati alle fiamme, poi tra le colonne di fumo e i crepuscolo dei bagliori hanno iniziato un fitto lancio di petardi, sampietrini, bottiglie, cestini dei rifiuti e transenne contro le forze dell’ordine e chi, invece, senza autorizzazione manifestava.

Mentre teneva banco la sommossa, una ventina di altri incappucciati, vestiti di nero, con i volti travisati da passamontagna e caschi integrali armati di spranghe e pietre, su via Santa Lucia, davano la caccia alle volanti della polizia. Proprio così, la caccia.

Scene drammatiche catturate da attoniti cittadini con i loro smartphone. Fotogrammi sporchi dovuti alla mano tremante, accompagnati da commenti strozzati dall’ansia e dal terrore: “Cosa fanno, cosa cazzo fanno, sono pazzi, che c’entrano le forze dell’ordine, guardali, chi sono questi, nooo”.

Bloccate le auto della polizia hanno più volte tentato di spalancare le portiere e laddove ci sono riusciti hanno inflitto agli agenti delle cinghiate. Con il favore delle tenebre personaggi, forse gli stessi impegnati nel primo lockdown ad aiutare i più bisognosi con una solidarietà interessata solo per riaccreditarsi per meglio ricattare e controllare la piazza, sono tornati. Approfittano del momento difficile, il più drammatico dal dopoguerra, clan, gruppi emergenti cercano di diventare interlocutori delle istituzioni. Proprio così.

È un film già drammaticamente visto. Anche la Nco di Raffaele Cutolo attuò negli anni Ottanta a seguito del terremoto questa strategia: riuscire a sedersi al tavolo offrendo su di un piatto la propria capacità del controllo sociale delle piazze e ottenere in cambio potere sterminato. C’era una manifestazione annunciata di commercianti, negozianti e di tutti quelli che gridano da giorni ‘no’ al mini lockdown. Una mobilitazione nata da un martellante tam tam via whatsapp, telegram e gruppi Facebook. Un’iniziativa non legittima perché convocata a partire dalle ore 23, insomma, apertamente in contrasto con l’ordinanza emanata dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca che ha imposto la chiusura totale e il divieto di spostamento a partire proprio dalle 23 alle 5 del mattino.

Entità si sono affiancate, trasformando la protesta di pochi esercenti, in una prova generale di rivolta. Rancore sociale e mire criminali che hanno trovato combustibile e spazio per ingaggiare un corpo a corpo con le istituzioni. Disintegrare la coesione sociale, minacciare il caos, il facimm ammuina per far piombare Napoli nella confusione, nel terrore così da costringere alla trattativa, l’ennesima.

Ricordate nel primo lockdown cosa accade a Napoli? Partì un assedio fuori e dentro i penitenziari. Ragioni e recriminazioni anche giuste. Poi un salto di qualità: violenze, occupazione, ricatti. Una protesta che poi si è diffusa in tutta Italia ed è riuscita a condizionare e imporre, se anche non direttamente, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede l’attenuazione della stessa condizione carceraria di camorristi, mafiosi, ‘ndranghetisti con una pioggia di provvedimenti di arresti domiciliari e sconti di pena per l’emergenza Covid. Un colpo di spugna che ha fatto traballare e oscillare la tenuta dello stesso Governo.

C’è una emergenza sanitaria. La Campania come l’intero Paese, in queste ore tragiche, appare impreparata, debole e chiusa all’angolo. Il contatore dei contagi e dei morti ogni giorno corre veloce. La curva epidemiologica impone delle scelte dolorose. È un tempo stretto e difficile, le istituzioni, insieme, devono reggere l’onda d’urto e mettere in sicurezza la democrazia. Ieri notte da Napoli qualcuno ha tentato le vie brevi.

Nessuno può essere ostaggio della malapianta, la città deve ritrovarsi, qui il coronavirus può innescare e far tornare poteri dormienti che non hanno mai smesso di tramare e covare sotto le ceneri. Il passato non deve tornare, altrimenti davvero non c’è più spazio per la speranza.