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Bullismo, suicida a 17 anni: poteva essere salvato

Michele Ruffino

Michele poteva essere salvato, ma i suoi coetanei hanno deciso di non avvisare nessuno dopo aver avuto tra le mani la sua lettera di addio.

Michele Ruffino aveva solo 17 anni quando è morto di bullismo. Ha deciso di lanciarsi nel vuoto dal ponte di Alpignano. Sono passati tre anni dalla sua morte e la famiglia pretende che si faccia chiarezza sulle responsabilità di chi ha compiuto atti di bullismo e di persecuzione. “Non è stato un semplice suicidio, è stata istigazione al suicidio” ha dichiarato la mamma Maria a “Chi l’ha visto?”.

Gli atti di bullismo

Quando era piccolissimo Michele ha iniziato a dover affrontare delle grandi difficoltà. A causa della somministrazione di un vaccino scaduto, il bambino non riusciva a stare in piedi e dopo una serie di esami gli è stata diagnosticata una ipotonia agli arti superiori e inferiori. Dopo diversi anni, finalmente Michele è riuscito a camminare senza cadere. Non era ancora guarito, ma era diventato molto bravo a gestire la sua situazione. Una volta cresciuto ha deciso di aprire un canale YouTube per potersi confrontare con i coetanei. Invece di apprezzare la sua forza, i compagni di scuola hanno iniziato a bullizzarlo. Che lui fosse presente o assente, loro continuavano ad insultarlo, offenderlo e ridere di lui. Lo chiamavano “handicappato” e in palestra gli sputavano addosso. Michele ha cercato in tutti i modi di integrarsi, ma tutti lo emarginavano.

Il ragazzino era sempre molto triste, ma non voleva mai far preoccupare i suoi genitori e sua sorella, per cui ha sempre finto di essere stanco. Michele ha continuato a seguire le sue passioni, scoprendo di essere molto bravo a fare dolci. Anche questo è diventato motivo di prese in giro continue. La famiglia lo ha incoraggiato in tutti i modi a rispondere al bullismo con la sua grande intelligenza, ma il ragazzo piano piano si è chiuso sempre di più. Il 23 febbraio è tornato a casa e ha pranzato con i suoi genitori, poi si è cambiato ed è uscito di casa. Dopo un’ora la madre lo ha chiamato e lui le ha detto di essere al Castello di Rivoli e che sarebbe tornato presto a casa. In realtà Michele ha deciso di togliersi la vita gettandosi dal ponte e a mettere al corrente la sua mamma sono stati i carabinieri.

La lettera di addio

Prima di suicidarsi, Michele Ruffino ha scritto una lettera di addio indirizzata ad un amico. Questa lettera è stata consegnata ad una ragazza, ma è finita tra le mani di altri coetanei. “Tu sei l’unico dei pochi amici che avevo che mi aveva capito e sei l’unico che riesce a calmarmi e a riflettere sul senso della vita e anche come andare avanti sempre e in qualunque caso. Io ti ringrazio di tutto, ti voglio un bene dell’anima, ma è arrivato il momento di dirti addio, spero che non mi dimenticherai facilmente anche perché quando ti arriverà questa lettera, io non ci sarò più” ha scritto il 17enne prima di compiere il terribile gesto. I suoi coetanei l’hanno letta, ma nessuno ha contattato gli insegnanti, i genitori o le forze dell’ordine. Erano tutti consapevoli di quello che stava per accadere e della possibilità di fermarlo, di salvargli la vita, ma nessuno ha fatto niente. Ad ammetterlo è stato uno di loro, in un audio che è stato diffuso da “Chi l’ha visto?“. “Molto probabilmente faranno delle indagini e quindi quella lettera di cui sappiamo, è come se non esistesse, non deve esistere perché se scoprono, cioè se scoprono, che avevamo quella lettera ci possiamo andare nei ca…i, perché sarebbe omissione di soccorso, perché noi potevamo saperlo e quindi potevamo fermarlo. Fatevi i ca..i vostri. Ve l’ho spiegato in maniera tranquilla, adesso ve lo dico: fatevi i ca..i vostri” si sente nell’audio.

Gli atti di bullismo sono andati avanti anche dopo la sua morte e non solo per il depistaggio, ma anche per un terribile avvenimento accaduto al funerale di Michele. Quel giorno erano presenti tantissime persone e un ragazzo, guardando la foto del 17enne, ha commentato con una frase orribile: “Ma questo in foto non è Michele. Lui era storpio. È meglio in foto che da vivo“. Un parente ha sentito queste parole e le ha subito riferite ai genitori, che hanno querelato. Il magistrato ha chiesto l’archiviazione con questa motivazione: “Commento infelice, ma era la realtà che tutti conoscevano e che faceva soffrire Michele”. Si tratta di un messaggio molto inquietante, perché sembra voler giustificare gli atti di bullismo. I genitori di Michele stanno ancora aspettando delle risposte. “Hanno preso in considerazione solo l’episodio del funerale, non il contesto. Vorremmo che questi ragazzi che si sono macchiati di bullismo venissero rieducati, magari con i servizi sociali, con l’assistenza agli anziani, e restituiti alla società” ha dichiarato mamma Maria. “Finché avrò vita non mi fermerò. Chi conosceva mio figlio sapeva che era umile, gentile, aveva tanta voglia di vivere nonostante avesse passato tutta la vita a combattere con la malattia” ha aggiunto. La famiglia ha fondato l’associazione “Miky Boys“, dedicata alla sensibilizzazione dei giovani alla lotta al bullismo.