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Il musical che sovverte i musical: The Rocky Horror Picture Show

rocky horror

Dal 27 ottobre, The Rocky Horror Picture Show torna al cinema in versione restaurata.

È il 1975 quando, tra una pioggia incessante e un castello pieno di follia, il cinema perde per sempre la sua innocenza. The Rocky Horror Picture Show non è solo un musical: è un film che porta sul grande schermo travestiti, alieni e scienziati folli, in un inno sfacciato alla libertà di essere.

Perché il Rocky Horror Picture Show è più di un film

Quando si pensa al mondo del musical, è facile essere travolti dallo stereotipo di canzoni e coreografie colme di lustrini e futilità. Il musical, nella mentalità condivisa, è un genere frivolo, superficiale, dove i personaggi esplodono in canto o ballo senza motivo. In questa visione, viene contrapposto al “cinema vero”, drammatico e psicologico. In realtà, proprio per la sua indole teatrale e surreale, il musical è in grado di smuovere il pubblico in modo molto più immediato — e, come nel caso del Rocky Horror Picture Show, di trasformare l’eccesso e la finzione in libertà espressiva.

La sua natura fortemente teatrale si spinge infatti al di là: rompe la quarta parete, sfida i codici del racconto lineare, si concede la libertà di trasformare l’eccesso in linguaggio. The Rocky Horror Picture Show ha portato tutto questo all’estremo, inaugurando una nuova era, in cui il musical non è più solo intrattenimento, ma un atto di ribellione culturale. È stato il film che ha infranto tabù e regole — estetiche, morali e narrative — trasformando la trasgressione in festa collettiva.

La trama: Frankestein, ma molto rivisitato

La trama di The Rocky Horror Picture Show è una parodia sfrenata dei film horror e fantascientifici anni ’50, con un’anima profondamente sovversiva. Tutto inizia in modo apparentemente innocente: una coppia di fidanzatini modello, Brad e Janet, rimane in panne sotto la pioggia e cerca rifugio in un misterioso castello. Ma quel luogo non è affatto un porto sicuro: è il laboratorio del dottor Frank-N-Furter, scienziato e seduttore extraterrestre. Qui, tra guanti di lattice, corsetti, lampi e chitarre elettriche, Frank dà vita alla sua creatura perfetta: Rocky, un “Frankenstein” biondo e scolpito come un dio greco, pensato per soddisfare ogni suo desiderio.

È il mito di Frankenstein riscritto come festa glam, dove la scienza non crea mostri, ma crea se stessa, in un laboratorio di desideri e rivoluzioni.

Un musical rock: l’inizio di una nuova era

Sul piano musicale, il Rocky Horror è stato un terremoto vero e proprio: il tip-tap di Singing in the Rain e le armonie angeliche di The Sound of Music vengono sostituite da rock vero e proprio. Richard O’Brien, autore e interprete, fonde Chuck Berry e David Bowie, Elvis e Lou Reed, portando nel musical un sound che fino ad allora apparteneva alla controcultura. Brani come «Sweet Transvestite» o «Hot Patootie – Bless My Soul» hanno la potenza di un concerto, più che di una scena da palcoscenico. È musica che urla, seduce, scompone: una colonna sonora che suona come libertà.

Un progetto che non rimarrà inascoltato: una decina d’anni dopo, Jonathan Larson arriverà con Rent, decretando l’inizio di una nuova era per il mondo del musical, che, da allora, non è stato più lo stesso. Hip-hop, rap e musica elettronica faranno il loro grande ingresso nel linguaggio musicale e teatrale di Broadway, portando sonorità inedite, che renderanno il musical un palcoscenico sempre più moderno e dirompente.

L’eccesso come rivoluzione

Nel Rocky Horror, ogni elemento è spinto oltre il limite: trucco, costumi, luci, musica, gesti. L’eccesso non è un vezzo estetico, ma una dichiarazione di libertà. È la negazione di ogni norma imposta, la celebrazione del desiderio come forma di verità. Il film ribalta l’idea di “buon gusto” e mostra che il grottesco e il kitsch possono diventare linguaggi di autenticità. In un’epoca in cui l’ordine borghese dominava ancora i corpi e le menti, Rocky Horror insegnava che si poteva essere mostruosamente sé stessi — e che in quella mostruosità c’era bellezza.

Frank-N-Furter e i suoi ospiti non nascondono nulla: incarnano un’idea di corpo libera, fluida, desiderante. Il corpo diventa spettacolo, manifesto politico e atto di ribellione. Nel suo corsetto di paillettes, Tim Curry non interpreta un travestito, ma l’essenza stessa del piacere emancipato. Il messaggio è chiaro: non esiste un modo giusto di essere, ma infiniti modi di sentirsi vivi. Il corpo, nella sua diversità, diventa strumento di conoscenza e di sfida sociale.

Una rivoluzione che non invecchia

A distanza di cinquant’anni, The Rocky Horror Picture Show continua a parlare alle nuove generazioni perché non è mai stato un film “sul diverso”, ma del diverso. Non celebra la trasgressione per moda, ma per necessità: quella di affermare il diritto di essere e di amare fuori dagli schemi. Il pubblico che ancora oggi lo canta, lo mima e lo vive nelle proiezioni notturne non celebra la nostalgia, ma la libertà. Perché, in fondo, il suo messaggio rimane intatto: non si tratta solo di fare scandalo, ma di esistere senza chiedere permesso.