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Julian Assange: si decide oggi il destino sull'estradizione del giornalista

Julian Assange giornalista

Si torna a parlare di Julian Assange, stamattina è atteso l'ultimo appello sull'estradizione negli Stati Uniti del giornalista e cofondatore di WikiLeaks.

Ormai manca poco per scoprire il destino di Julian Assange, giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks, che potrebbe essere estradato negli Stati Uniti. Questa mattina alle 10:30 ora locale (11:30 in Italia) l’Alta Corte di Londra rivelerà il suo verdetto sull’ultimo appello in merito alla questione, con Assange che rischia una pena severissima.

Julian Assange: il verdetto sull’ultimo appello per l’estradizione

I guai per Julian Assange sono iniziati ormai parecchi anni fa, nel lontano 2010, quando ha condiviso circa 700 mila documenti, tutti riservati, che includevano anche diversi crimini di guerra commessi durante il conflitto fra Iraq e Afghanistan. Questi sarebbero stati sottratti direttamente dal Pentagono o al Dipartimento di Stato Usa.

I legali di Assange si sono sempre battuti per evitare un’estradizione anche perché, se dovesse mettere piede negli Stati Uniti, il cofondatore di WikiLeaks rischierebbe una pena severissima, si parla di 175 anni di carcere. Ovviamente questo non prende in conto un eventuale patteggiamento con l’amministrazione Biden che potrebbe portare ad un risultato meno grave.

Le argomentazioni della difesa

Gli avvocati di Julian Assange parlano di un vero e proprio attacco nei confronti di una legittima attività giornalistica del loro assistito, mentre gli Stati Uniti vogliono punirlo perché, secondo il loro punto di vista, avrebbe invece superato questi limiti giornalistici. In ogni caso se dovesse perdere questo appello, il giornalista potrebbe venire estradato in tempi relativamente brevi, si parla di qualche settimana o anche prima.

In tutto questo non sono ben chiare le condizioni di salute di Assange, ma il quadro non promette nulla di buono. Il mese scorso non era stato in grado di prendere parte all’udienze all’Alta Corte di persona e nemmeno in videocollegamento.