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Kata, parla l'ex pm che ha seguito il caso Denise Pipitone: "Genitori sanno più di quello che hanno detto agli inquirenti"

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Maria Angioni, ex pm che si è occupata del caso Denise Pipitone ha fatto una lunga analisi sulla scomparsa della piccola Kata.

Sono passati quasi tre mesi da quando la piccola Kata è scomparsa facendo perdere le proprie tracce. Sono molti gli interrogativi legati a questa vicenda sempre più intricata: quali sono state le sue sorti? Dove è stata portata dai rapitori e soprattutto, è ancora viva? Maria Angioni, ex pm che ha seguito il caso di un’altra celebre scomparsa ossia quella di Denise Pipitone avvenuta ormai 19 anni fa, ha cercato di fare il punto della situazione in una lunga intervista rilasciata a “Cuoio in diretta.it”.

Kata, parla l’ex pm che ha seguito il caso di Denise Pipitone

Angioni ha evidenziato nella prima parte dell’intervista quali sarebbero le ipotesi in gioco dietro alla scomparsa della bambina: “L’unico indizio che potrebbe invece fare sospettare che delle tracce biologiche siano state rinvenute, e che le relative informazioni siano state tenute rigorosamente segrete, è costituito dall’attività investigativa di estrazione del Dna dei parenti e dei contatti della bimba, che parrebbe essere stata eseguita, poiché la logica vorrebbe che in tal caso si debba quindi procedere alla comparazione dei profili di Dna con qualcosa che sia stato trovato. Ma al riguardo non si é più saputo niente”.

È poi entrata maggiormente nel dettaglio facendo il punto su quale potrebbe essere stato il peso dei familiari nella vicenda. Ricordiamo infatti che il padre di Kata, al momento della scomparsa, si trovava in carcere. Altri parenti della bambina sono stati arrestati “per vicende relative a traffici degli affitti abusivi, ed estorsioni”. Ciò – spiega Angioni – dimostrerebbe almeno per il momento che Kata avrebbe vissuto in un ambiente per lei non sicuro.

“I genitori sanno molto di più di quello che hanno riferito agli inquirenti”

Non ultimo l’ex pm, nel parlare dei genitori di Kata ha affermato che questi ultimi potrebbero avere delle informazioni aggiuntive che non sono sarebbero riferite agli inquirenti: “Il tentativo di suicidio di entrambi può essere interpretato come l’effetto di una sicura comprensione da parte loro del movente di quanto accaduto. Non sono ricchi ma possono avere contratto dei debiti di fonte illecita, per il cui adempimento i creditori non possono certo rivolgersi ai Tribunali. Debiti, pertanto, che non possono essere esatti, riscossi, se non attraverso la pressione esercitata da un’azione criminosa”.