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La Corte europea condanna Lampedusa: "Migranti tenuti in condizioni disumane e degradanti"

Lampedusa

L'Europa tuona ancora sul tema migranti: la Corte europea dei diritti umani condanna il governo italiano per i trattamenti riservati ai migranti tra il 2017 e il 2019

Strasburgo punta (ancora) il dito contro l’Italia. La Corte europea dei diritti umani condanna il nostro Paese per il trattamento «inumano e degradante» riservato ai migranti che arrivano a Lampedusa, defraudati – tra le altre cose – della possibilità di ricorrere all’assistenza legale per essere stati «arbitrariamente privati della loro libertà».

Due bagni per quaranta persone e costretti a dormire fuori: l’altra faccia del modello hotspot

Disapprovando il modello hotspot, la Corte si scaglia contro il governo Meloni, impegnato a tirarne su parecchi lungo tutto lo Stivale. Che Lampedusa sia da sempre un limbo in cui i diritti umani sembrano essere il più delle volte silenziati non è notizia di oggi: il fatto che la permanenza nelle strutture continui ad allungarsi ben oltre i due o tre giorni stabiliti, oltretutto senza possibilità di lasciarle, la dice lunga. Nel 2019 si segnalava che nell’hotspot c’erano solo due bagni condivisi da quaranta persone, molte delle quali sono state costrette a dormire fuori dalle palazzine. Sentenze che confermano le precedenti pronunce in materia, certificando ulteriori violazioni delle norme comunitarie.

Il botta e risposta tra il governo e la corte

«Tutti avrebbero potuto lasciare l’hotspot. Sarebbe bastato fare ricorso rivolgendosi al prefetto per ottenere un permesso temporaneo per lasciare il centro e nel caso in cui l’istanza fosse stata respinta, avrebbe potuto impugnare la relativa decisione dinanzi a un giudice civile o presentare un ricorso urgente ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile o ancora, in caso di mancata risposta, presentare ricorso al tribunale amministrativo», fa sapere il governo tramite i suoi avvocati. «Peccato che nessuno lo abbia mai informato dei propri diritti o sia mai stato messo nelle condizioni di parlare con un legale», risponde la corte, «motivo per cui l’Italia è stata condannata. […] Tutti sono stati rinchiusi in quelle strutture, dunque di fatto detenuti senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse detenzione».

La corte non teme la contraccusa

Che le accuse siano reali e concrete non sono le parole dei giudici a doverlo provare: esistono sentenze che lo hanno già stabilito, a partire dalle relazioni del Garante dei diritti delle persone detenute che per anni ha denunciato la collocazione dell’hotspot in una struttura «sporca e fatiscente, mancante di spazi e servizi a sufficienza, a partire dai posti letto». Poco preoccupa la possibilità di contestare il fatto: in assenza di contestazione formale o provvedimento «la Corte non vede come le autorità avrebbero potuto informare i ricorrenti delle ragioni giuridiche delle loro privazioni della libertà o fornire loro informazioni sufficienti per consentire loro di contestare dinanzi a un tribunale i motivi della detenzione». Tradotto: Strasbrugo non intende abbassare il dito.