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'Ndrangheta: confiscati beni del valore di 33 milioni

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La Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha confiscato beni immobiliari del valore di 33 milioni di euro, alla cosca mafiosa dei Labate.

Un tesoretto di 33 milioni. La mattina del 10 luglio 2018, la Guardia di Finanza del Comando di Reggio Calabria ha confiscato imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie appartenenti alla cosca Labate. L’operazione è stata avviata, in esecuzione di un provvedimento dell’Ufficio Misure di Prevenzione del tribunale e porta il valore dei beni complessivamente confiscati alla ‘Ndrangheta a 630 milioni di euro.

I numeri dei Labate

Nel lungo elenco dei beni confiscati dalla Guardia di Finanza figurano 5 complessi aziendali, per un totale di 62 possedimenti, tra fabbricati e terreni, 3 automobili e rapporti finanziari-assicurativi ancora da definire. Le indagini delle forze dell’ordine si sono strette intorno a Michele Labate, 62 anni, il numero 2 – secondo gli investigatori – della cosca dei Labate, operante nei quartieri di Gebbione e Sbarre di Reggio Calabria. Insieme a Michele è indagato anche il fratello Pietro, di 67 anni, già condannato per associazione mafiosa.

La confisca dei beni riguarderebbe anche il patrimonio immobiliare degli eredi di un imprenditore reggino deceduto nel 2014. Le autorità avrebbero ricostruito la vicinanza di quest’ultimo con il clan Labate, attraverso la verifica delle dichiarazioni di un testimone di giustizia che indicherebbero l’imprenditore come un collaboratore, incaricato di riciclare i profitti illegali della cosca, investendoli nell’acquisto di nuovi immobili.

Affari d’oro nella carne

Stando a quanto emerso dalle indagini degli inquirenti, i Labate si sarebbero affermati nei quartieri di Gebbione e Sbarre di Reggio Calabria fin dal 1987. Già allora, le redini della famiglia – sostengono gli inquirenti – erano nelle mani di Pietro Labate e di suo fratello Michele, che avevano portato ingenti guadagni al loro patrimonio, imponendo il loro controllo nelle attività commerciali della zona, in particolare il settore della carne. Partendo da tale contesto, la Guardia di Finanza è stata in grado di ricostruire quali e quante fossero le imprese nate sotto il segno della cosca, al solo scopo di sbaragliare la concorrenza.

Le autorità hanno messo le mani su un’ingente quantità di documenti, tra cui spiccano atti notarili, contratti di compravendita di beni immobili e quote societarie. Con una fonte così sostanziosa, gli agenti sono riusciti a ricostruire tutte le transazioni economiche dei Labate degli ultimi 30 anni, portando alla luce un sistema strutturato per il riciclaggio del denaro sporco.

In tutto questo, l’imprenditore deceduto non è mai stato sottoposto direttamente a procedimenti penali, tuttavia gli inquirenti ribadiscono il suo legame con il clan. L’inchiesta della Guardia di Finanza ha appurato che dal 1972, l’uomo aveva investito somme di denaro sproporzionate, rispetto alla quantità di denaro di cui avrebbe potuto disporre grazie alla sua attività.

I fratelli Labate

Michele, Pietro e Nino. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia ha visto al centro delle proprie indagini proprio i 3 fratelli Labate. Il 20 marzo 2018, Nino Labate, 68 anni, è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio plurimo e incendio doloso, su cui si è aggiunta anche l’aggravante mafiosa, poiché – secondo gli inquirenti – se Nino avesse commesso fino in fondo il reato, la famiglia ne avrebbe avuto un grande vantaggio.

Nel 2015, Pietro Labate è stato fermato dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria. L’accusa è di intralcio alla giustizia, aggravato dalle finalità e modalità mafiose. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, Pietro Labate avrebbe minacciato un testimone per indurlo a dichiarare il falso nel corso di un importante processo – allora in pieno procedimento – nei confronti del fratello Michele.

Con l’operazione del 10 luglio 2018, il valore dei beni confiscati negli ultimi 18 mesi sale a 630 milioni, un risultato importante, che colpisce profondamente le risorse delle associazioni mafiose, in particolar modo alla cosca dei Labate, l’unica rimasta al di fuori della guerra mafiosa che va dal 1985 al 1991. L’unica cosca in tutta Reggio Calabria, per cui per rendere omaggio e poter entrare nel Gebbione, anche gli altri boss dovevano togliersi il cappello.