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Quanto inquina Tamoil in Lombardia? La domanda a cui la Regione non risponde

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Oggi Cremona è una delle città più inquinate d’Europa e la domanda (senza risposta) rimane sempre la stessa: che danni ha provocato la decennale storia di Tamoil sul territorio lombardo?

È una storia che parte da lontano e che non è finita ancora ma le macerie che ha lasciato per terra (e i danni che ha prodotto) sembrano essere un tema poco interessante per Regione Lombardia.

Nel 1952 a Cremona la Fratelli Camangi, una piccola società commerciale in città, decide di costruire una raffineria trasformando un deposito di sua proprietà. L’attività parte bene e con tempo viene acquisita una piccola rete di distributori nell’aria adiacente alla raffineria. Da lì in poi sulla raffineria lombarda si affacciano gruppi internazionali che trasformano quella piccola attività familiare sempre più in una realtà industriale nazionale: subentra la compagnia petrolifera multinazionale americana Standard Oil Co, poi Roger Tamraz (un finanziere egiziano di famiglia libanese leader del gruppo NetOil) che crea la società europea Tamoil Corporation, poi l’assetto proprietario transita da una banca di investimenti a società finanziarie controllate dal governo libico, prima di approdare, nel 1988, alla multinazionale olandese Oilinvest, che a sua volta appartiene alla società libica National Oil Company. Nel 2010 quella che era inizialmente una piccola raffineria dava lavoro a circa 1.000 persone: 300 dipendenti diretti e 700 nell’indotto.

Nel 2001 la multinazionale (che sorge su un terreno di 750mila metri quadrati, non lonrno dal centro abitato e a ridosso della riva del Po, accanto a associazioni sportive e canottieri) sia autodenuncia comunicando agli enti preposti (regione, provincia e comune) la contaminazione da idrocarburi del sottosuolo della sua area, ma precisando di essere proprietaria di un terreno inquinato, non responsabile dell’inquinamento: il particolare è importante perché se si fosse dichiarata immediatamente responsabile gli enti avrebbero comunque imposto degli obblighi e la società stessa sarebbe stata costretta a realizzare la messa in sicurezza di emergenza che la legge richiede entro 48 ore dall’incidente.

Parte un complesso iter amministrativo che si apre con l’azienda che esclude, oltre alla sua responsabilità nell’inquinamento, anche qualsiasi rischio di contaminazione di aree esterne grazie a una barriera installata lungo l’argine del Po che avrebbe dovuto contenere eventuali sversamenti.

Peccato che le cose non stiano esattamente così: è il 2007 quando si viene a sapere che la contaminazione è altissima. Tubi completamente collassati nella rete fognaria, enormi quantità di petrolio che hanno raggiunto la prima falda a 9 metri e mezzo e quella intermedia a 70 metri di profondità. La magistratura avvia le indagini: il processo penale comincia nel 2012.

Tra il 2010 e il 2011 paraffinerai chiude e il sito diventa deposito per lo stoccaggio. Tamoil, Comune, Provincia e Regione stipulano un contratto presso il Ministero per lo Sviluppo economico che stabilisce che l’azienda produrrà una serie di operazioni di ripristino ambientale delle aree esterne e la bonifica all’interno del sito industriale. Il procedimento penale va avanti. Il Comune non si costituisce parte civile: la sudditanza nei confronti di un’azienda che finanzia lautamente le attività in città è qualcosa che pesa enormemente. Nel suo libro “Morire di petrolio. Trent’anni di lotte radicali a Cremona contro l’inquinamento ambientale, economico, sociale e politico” Sergio Ravelli racconta che un che un socio della Bissolati (la più grande associazione canottieri, ndr.) mentre faceva la doccia, anni prima del 2007, lamentava un forte tanfo di petrolio. Nessuno osava parlare.

Anche la Bissolati, come l’intera città, viveva delle sovvenzioni della Tamoil . Il Comune di Cremona si vede riconosciuto il risarcimento del danno, da quantificare in sede civile, con una provvisionale di un milione di euro solo grazie a un cittadino, Gino Ruggieri, che decide di costituirsi parte civile. Il processo si conclude con la condanna di solo uno degli imputati. Sergio Gliberti, amministratore delegato dell’azienda dal 1999 al 2006.

Nei dieci anni passati in quella notte tra l’1 e il 2 aprile 2011 in cui venne sottoscritto presso il Ministero dello sviluppo economico l’importante accordo fra l’azienda petrolifera, i responsabili delle istituzioni locali e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali gli impegni assunti sono stati in gran parte disattesi: l’impegno “a bonificare suolo, sottosuolo e acque sotterranee impattate dall’attività industriale condotta sul sito della raffineria” si è bloccato perché la trasformazione del sito in deposito con una marginale attività produttiva ha consentito all’azienda di non bonificare; le “opere di ripristino ambientale nelle aree rivierasche a sud del confine del proprio sito” non sembrano adeguate poiché nella vicina area occupata dalla canottiera Bissolati la persistente contaminazione dimostra la carenza strutturale della barriera idraulica. Ma soprattutto rimane una domanda: quali sono i danni alla salute dei cittadini creati da Tamoil?

Si è provato a rispondere con un convegno organizzato in Regione Lombardia dal gruppo del Movimento 5 Stelle, dal consigliere regionale Marco Degli Angeli. Ma le risposte no, non sono buone.

Nel 2010 la ex Asl di Cremona ha affidato un’indagine epidemiologica alla Clinica del Lavoro Devoto dell’Università di Milano per accertare l’eventuale presenza di danni indotti alla salute ma il dottor Paolo Ricci (ex direttore dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ats Valpadana) ha sottolineato come provochi qualche dubbio “a decisione di esternalizzare completamente, chiavi in mano per dirla in chiaro, un compito tipicamente a carico ad una ASL che esercita il ruolo istituzionale di tutelare e promuovere la salute pubblica”.

Sempre il dottor Ricci ha sottolineato come avesse poco senso ridurre l’indagine solo ai lavoratori dell’azienda: “L’ipotesi di fondo era: se i lavoratori teoricamente più esposti all’inquinamento non mostrassero particolari problemi di salute a causa dell’azienda in cui sono occupati allora nemmeno la popolazione generale, più lontana dalla fonte inquinante, li mostrerebbe. Ma l’obiettivo e l’ipotesi dell’ASL sono entrambi privi di fondamento – ha spiegato Ricci – poiché la popolazione lavorativa considerata non è confrontabile con la popolazione generale composta da malati, bambini e fragili. Inoltre la coorte di lavoratori era formata da poco più di 800 addetti in 40 anni, di cui solo una piccola parte dotata di un periodo di osservazione sufficientemente lungo. Mancano anche i lavoratori delle ditte in appalto dedicati alla manutenzione, alla pulizia e alla logistica interna che per di più hanno la sede dentro la raffineria. Quindi stogliendo i maggiormente esposti e includendo invece i poco o non-esposti si creano le condizioni per una sottostima dei rischi riportati dai risultati. In definitiva, un’indubbia operazione di ‘diluzione’.

Esiste anche un altro studio epidemiologico gestito dal territorio (con l’implementazione di specifiche competenze storicamente mancanti) iniziato proprio dal professor Ricci ad oggi rimasto senza guida poiché il suo responsabile, il professor Paolo Ricci, è andato in quiescenza in data 31/12/2020. Come racconta il consigliere del M5S Lo studio epidemiologico già avviato ha evidenziato come a Cremona ci sia stato un incremento delle ospedalizzazioni a causa di patologie respiratorie”. Dati alla mano, si parla di un +14% per Cremona e di un +33% nei comuni limitrofi. Cremona risulta essere una delle città più inquinate d’Europa.

Lo studio però (così ha risposto Regione Lombardia al consigliere del M5S) non si riesce a concludere per “mancanza di specifiche professionalità” e per difficoltà nel mettere in rete tutti gli enti preposti. In più è arrivato il Covid. E la domanda rimane sempre la stessa: che danni ha provocato la decennale storia di Tamoil?