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Ricerca, grazie alla tecnologia RNA potremo dire addio alla chemio nella terapia genica

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I ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica di Milano hanno messo a punto una nuova terapia per evitare gli effetti tossici associati al trapianto di cellule staminali del sangue.

La chemio e la radioterapia da sempre scomode alleate nella battaglia contro malattie oncologiche e ereditarie potranno essere sostituite, in alcuni ambiti della terapia genica, con la tecnologia RNA in grado di correggere le cellule staminali del sangue senza dover ricorrere a trattamenti che, se pur efficaci, presentano un alto livello di tossicità e molti effetti collaterali. L’importante scoperta, frutto di uno studio tutto italiano realizzato dai ricercatori dell’istituto San Raffaele – Telethon per la terapia genica di Milano, è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Cell.

Il grande vantaggio

A guidare la sperimentazione il professor Luigi Naldini, direttore di SR-Tiget e professore ordinario di Istologia e terapia genica e cellulare presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano che ha messo a punto un nuovo protocollo più sicuro e meno debilitante in grado di allargare in futuro il numero dei pazienti e di malattie da trattare. «Oggi stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica dimostrata dai vaccini anti Covid – spiega Naldini – perché l’RNA che è una molecole labile chiamata a fornire informazioni per un breve intervallo di tempo alla cellula, e proprio per questa sua caratteristica di fragilità per molto tempo inutilizzabile, con lo sviluppo dei vaccini a RNA è stata resa stabile e sicura, senza intaccare il DNA. I risultati ottenuti rappresentano un traguardo importante per le applicazioni di terapia genica e aprono orizzonti nuovi verso terapie che non prevedono più l’uso di chemio e radioterapia, riducendo così gli effetti collaterali a breve e lungo termine causati dall’elevata tossicità del trattamento».

Come funziona oggi

Con la terapia genica oggi viene corretto il gene difettoso delle cellule malate con un protocollo che prevede tre fasi: la raccolta delle cellule staminali del sangue e per questo il paziente viene sottoposto a un trattamento farmacologico con lo scopo di spingere le cellule staminali ad abbandonare la nicchia nella quale risiedono all’interno del midollo osseo e raggiungere la circolazione sanguigna. Questa fase nota come mobilizzazione è seguita poi dalla correzione genetica in laboratorio, per cui le cellule staminali vengono prelevate dal sangue circolante, purificate in laboratorio dove vengono corrette geneticamente, e a seguire re-infuse, ma prima che ciò accada è necessario fare loro spazio nel midollo osseo eliminando le cellule staminali malate che sono rimaste nel paziente. Per farlo è necessario seguire dei protocolli detti condizionamento a base di chemioterapia o radioterapia che sono tossici sia a breve che a lungo termine.

Cosa cambia con il protocollo del professor Naldini e l’RNA messaggero

Con lo studio del San Raffaele, oggi ancora limitato ai modelli sperimentali, sarà possibile una volta applicato con successo in clinica, superare il condizionamento con chemioterapici grazie all’uso di RNA messaggero: «Le cellule che raccogliamo, a causa della mobilitazione subita, hanno minore capacità di attecchire nel midollo, ma se queste vengono coltivate in laboratorio e modificate geneticamente, recuperano la capacità originale. Questa osservazione ci ha stimolato a provare a infondere le cellule modificate al picco di una mobilizzazione, quando le nicchie sono temporaneamente svuotate – rivela Naldini – ed abbiamo osservato che hanno maggiore capacità di attecchire rispetto a quelle appena mobilizzate nella circolazione, perché i recettori di membrana che ne mediano l’attecchimento vengono intaccati dai farmaci usati per la mobilizzazione. Allora abbiamo pensato di usare l’RNA messaggero per aumentare ulteriormente la quota di questi recettori nelle cellule modificate, rendendole ancora più competitive nella capacità di attecchire. Sostanzialmente la procedura impiega una somministrazione di RNA per una proteina di adesione, creando delle cellule più efficienti».

Dove è possibile utilizzare questa tecnica

Lo studio dei modelli sperimentali ha dimostrato che la sua applicazione più vicina è quella con le cellule autologhe perché il protocollo è efficiente, ma non arriva a sostituire il 100 percento delle cellule. Un limite accettabile nelle terapie geniche, non in quelle oncologiche dove occorre eliminare completamente tutte le cellule malate presenti. «Nelle malattie oncologiche non sarà inizialmente applicabile, perché in quel caso la chemioterapia serve soprattutto ad eliminare il tumore, mentre nella terapia genica di una malattia ereditaria, la chemioterapia serve a fare spazio a quelle corrette e il nuovo trattamento messo a punto con l’RNA messaggero la potrebbe sostituire permettendo di evitarne gli effetti tossici. La procedura, se riprodotta con successo nell’uomo, sarà quindi soprattutto applicabile nel trapianto autologo di cellule staminali, non da donatore – puntualizza Naldini -. Nella versione sperimentata finora, si raccolgono le cellule del paziente, se ne corregge il difetto genetico e si potenzia la capacità di attecchimento con il trattamento a mRNA per poi infonderle in una seconda mobilizzazione. Il tutto potrebbe essere fatto in una sola fase e la messa a punto di questo protocollo è uno degli obiettivi degli studi in corso».

Nessuna controindicazione significativa è attesa per questa procedura anche se «l’unica nota negativa da riscontrare rispetto ad un trapianto convenzionale è che il processo richiede la manipolazione delle cellule in laboratorio prima della infusione, aumentandone quindi la complessità di esecuzione» aggiunge il direttore del centro SR Tiget.

Ancora due anni per rendere accessibile la procedura sull’uomo

Questa potrebbe essere dunque una nuova frontiera per il trattamento delle immunodeficienze primarie, la talassemia o anemia falciforme e altre malattie che oggi richiedono un trapianto di cellule staminali da donatore o un auto trapianto con terapia genica.

«Perché la procedura possa essere applicata all’uomo ci vorranno ancora almeno un paio di anni di studi –conclude Naldini – ecsi potrebbe aprire una nuova frontiera anche per le malattie oncologiche del sangue là dove si sta cercando di usare degli anticorpi mirati invece della chemioterapia contro le cellule neoplastiche».