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Sanità italiana, veleno e antidoto di un sistema miope: tutta fama e niente a posto

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L’Italia vanta da decenni uno dei servizi sanitari migliori al mondo: un quadro c(l)inico per scongiurare il rischio di adagiarsi, ecco cosa c’è al di sotto degli allori

Nell’agonismo della sanità l’Italia non smette di puntare al podio. Che piaccia o meno ai cugini europei o agli stessi italiani che sempre più spesso lamentano file e liste d’attesa più lunghe della rubrica telefonica di Fabrizio Corona, il nostro servizio sanitario nazionale resta in pole position tra i migliori del mondo: è quarto, dopo Hong Kong, Singapore e Spagna (unico Paese dell’Ue a fare meglio di noi). Tre parole per descriverlo: universale, libero e gratuito. In ordine: l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione; la parità di accesso in relazione a uguali bisogni di salute; l’accesso alle cure senza alcuna discriminazione. ‘Non è tutto’ dice qualche italiano, ‘ma non è poco’ gli rispondono dal resto del mondo.

Spesso bistrattata a causa di scandali e mala gestione, soprattutto al sud, la sanità italiana è in grado di vantare centri di eccellenza mondiale in cui operano luminari della medicina. Ma procediamo per gradini (e gradoni). Saliamo sul primo: quanto spende l’Italia per la sanità? Nel 2022 il nostro Paese ha destinato alla sanità risorse economiche per un valore pari al 6,8% del proprio Pil, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media Ocse del 7,1% che alla media europea del 7,1%. «Gli indicatori generali di salute e di efficacia del Ssn restano complessivamente piuttosto buoni», commenta l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) rilevando tuttavia l’emersione di «qualche segnale di difficoltà». Il secondo è un gradone: quali difficoltà? Carenza del personale, prima di tutte. Ocse e Ue insieme sottolineano che «il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e in qualità di medici di famiglia è in calo, e oltre la metà dei medici attivi ha un’età superiore ai cinquantacinque anni: tale situazione desta serie preoccupazioni riguardo alla futura carenza di personale». Ma pare non sia colpa di nessuno se in Italia l’ingresso alla facoltà di medicina è a numero chiuso e se, (solo) secondo il sistema, conoscere le tragedie di Alfieri o le poesie di Gadda – sì, Gadda ha scritto poesie – abilita anche un pazzo a immatricolarsi come futuro dottore. Questo perché c’è chi pensa che il colloquio con lo psicologo serva solo a chi deve indossare la divisa, e che per il camice sia sufficiente qualche domanda a risposta multipla. Ça va sans dire, ma non è tutto.

Complici la diminuzione delle risorse pubbliche e l’invecchiamento della popolazione, ecco che il governo in carica corre ad (altri) ripari. E più che un gradone il prossimo è uno scoglio: come ha trattato la sanità l’ultima manovra economica? Male. Mancano i soldi per portare avanti la sanità pubblica e il governo Meloni non intende stanziarli. E la storia della pole position? Bella domanda. Il rischio che diventi una vecchia gloria, ricordo di un’epoca d’oro passata, ondeggia confuso all’orizzonte. Ancora nel limite delle acque sicure, l’Italia resta a galla, per ora chiamata più dal fondo che dal podio.