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Cina, il colosso immobiliare Evergrande presenta l'istanza di fallimento negli Usa: il rischio di un effetto domino

Jinping Xi

Il secondo maggiore sviluppatore immobiliare cinese chiede la protezione dai creditori in un tribunale a Manhattan: un debito di trecento miliardi di dollari che fa eco nell'economia mondiale

Una crepa di troppo sul mattone sbagliato rischia di far crollare l’intera muraglia, e oltre. Il colosso immobiliare cinese Evergrande – un tempo secondo nel Paese solo a Country Garden, anch’esso ora in uno stato di insolvenza – deposita l’istanza per la procedura di ristrutturazione del debito offshore presso una corte di New York. Pur non trattandosi di una bancarotta (non c’è istanza di fallimento), i dati negativi di Pechino innervosiscono le Borse mondiali, tra cui quelle europee, che confermano i segni meno in apertura.

Il piano di ristrutturazione più grande mai realizzato in Cina

Evergrande ha presentato l’istanza di protezione dal fallimento secondo il capitolo 15 della legge fallimentare statunitense, che consente a un tribunale degli Stati Uniti di garantire il riconoscimento a un procedimento di insolvenza o di ristrutturazione del debito che coinvolge Paesi stranieri. Stando a quanto noto, dopo aver riferito lo scorso mese di aver perso 81 miliardi di dollari di capitale tra il 2021 e il 2022, il produttore immobiliare cinese si starebbe avviando a una ristrutturazione dei debiti alle Isole Cayman e a Hong Kong. Un documento depositato in Borsa rivela che, alla fine del 2022, i debiti totali di Evergrande avevano raggiunto 2.437 trilioni di yuan (340 miliardi di dollari), ovvero circa il 2% dell’intero prodotto interno lordo della Cina. A marzo di quest’anno poi, il gruppo ha esposto il piano per la procedura di rimborso dei suoi creditori internazionali: per oltre 270 miliardi di dollari di passività, si tratta del piano di ristrutturazione più grande mai realizzato in Cina.

Le difficoltà delle società cinesi: il rischio di un contagio del settore bancario

Nelle scorse settimane la Cina è stata invasa da manifestazioni di investitori contro i mancati rimborsi delle cedole da parte del gruppo Zhongzhi Enterprise Group (in particolare del ramo di wealth management che ha in portafoglio 137 miliardi di dollari). Che si tratti di un contagio della crisi dall’economia reale al settore bancario? Il Wall Street Journal rivela il timore di un «momento Lehman» per la condizione finanziaria di Pechino, sempre più lontana dal raggiungimento di una crescita del 5% auspicata dal presidente Xi Jinping. Il pressing crescente per alimentare la ripresa ha fatto sì che in settimana la Banca Popolare Cinese tagliasse il tasso d’interesse di riferimento, immettendo liquidità per 98 miliardi di yuan (13,6 miliardi di dollari Usa) di pronti contro termine a sette giorni per mantenere la liquidità nel sistema bancario a un livello «ampio e ragionevole». Rinforzando preliminarmente la barriera di protezione nei confronti dello yuan – finendo tuttavia per alimentare il livello di alert generale –, si apprende inoltre dal Financial Times che, in data 18 agosto 2023, la Pbc ha fissato il punto medio giornaliero per il renminbi a 7,2006 per dollaro (contro una stima media degli analisti di Bloomberg di 7,3047): un divario tale tra aspettative e livello reale non si era mai registrato dall’inizio della rilevazione nel 2018.