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Rischio tsunami nel Mediterraneo: lo conferma uno studio

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Uno studio ha appurato come il mar Mediterraneo sia a rischio tsunami. Le zone più esposte sono la Sicilia, la Calabria e il Salento.

Anche il mar Mediterraneo possono avvenire tsunami. Le zone particolarmente a rischio sono Sicilia, Calabria e Salento. A renderlo noto è una mappa di pericolosità degli tsunami generati da terremoti nell’area del mediterraneo e dell’atlantico nord orientale. La mappa è stata realizzata nell’ambito del
progetto Tsumaps-Neam.

Mediterraneo a rischio tsunami

Uno studio ha accertato che anche il mar Mediterraneo è a rischio tsunami. Per quanto riguarda l’Italia, le zone più a rischio sono le regioni meridionali, in particolare la Sicilia orientale, la Calabria ionica, il golfo di Taranto e il Salento. A chiarire meglio il grado di pericolosità degli tsunami del Mediterraneo è una mappa redatta nell’ambito del progetto europeo Tsumaps-Neam, coordinato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.

“Si tratta di eventi rari, ma non impossibili e di grande impatto. Abbiamo realizzato una serie di mappe che fanno capire il grado di pericolosità, cioè la probabilità di avere un’inondazione in un certo periodo di tempo” ha spiegato il sismologo Alessandro Amato. Il coordinatore del progetto, Roberto Basili ha
invece spiegato che le zone in cui il pericolo maggiore sono “l’arco ellenico, da Cefalonia a Rodi, l’arco di Cipro, fino al Libano e l’arco Calabro”. Per quanto riguarda l’Italia, le aree emerse dallo studio sono Salento, Calabria ionica e Basilicata. Rischio minore invece per sardegna meridionale, Sicilia e Mar Ligure.

Le zone mappate dal progetto, possono subire tsunami con onde alte più di un metro ogni 2500 anni.

Lo tsunami del 1743

Non tutti sanno che, durante il terremoto di Nardò del 1743, ci fu anche un tsunami. Tuttavia non esistono testimonianze dirette. Ciò che è noto è che ci fu un brusco abbassamento del livello del mare nel porto di Brindisi, subito dopo il sisma. Rilevato lungo la costa di Otranto un distacco di grossi blocchi rocciosi dalla riva. Le rocce sono state datate con il radiocarbonio e sembra siano stati trasportati da due onde di tsunami connesse al sisma del 20 febbraio 1743. E’ stato inoltre calcolato che la quota massima raggiunta dalle onde possa essere stata almeno 11 metri vicino all’epicentro, mentre 1,5 metri nella fascia costiera a nord di Brindisi.