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Allevatori Amadori condannati per maltrattamento e uccisione d'animali

allevatori amadori condannati per maltrattamento: la sentenza

Sentenza storica per due allevatori dell'azienda Amadori, condannati dal Tribunale di Forlì per uccisione e maltrattamento di animali.

Sentenza storica nei confronti di due allevatori collaboratori di Amadori: condannati un rappresentante legale e il custode di un allevamento dell’azienda per uccisione, maltrattamento e abbandono di animali. Una denuncia che risale al 2016 ora finalmente archiviata.

Condannati allevatori Amadori

Nell’agosto 2016 l’Enpa, con la collaborazione di Animal Equality, presentarono un esposto-denuncia nei confronti di due lavoratori dell’azienda Amadori per le condizioni in cui venivano lasciati maiali e polli. Condizioni tali da creare sofferenze nei confronti di quest’ultimi per via del super affollamento delle gabbie, dove gli animali venivano lasciati senza spazi asciutti e puliti per riposarsi.

Il tribunale di Forlì ha infine condannato i due allevatori, ovvero un rappresentante legale di una società controllata dall’azienda stessa e del custode responsabile di un allevamento intensivo di maiali. Entrambi hanno scelto di patteggiare, ma nella sentenza arrivata giovedì 27 febbraio, nei confronti del primo il giudice avrebbe emesso una sentenza di reclusione pari a tre mesi per i primi due reati, e il pagamento di 22.500 euro di multa per maltrattamento e uccisione di animali. Per il custode, invece, una sanzione di 1.600 euro per abbandono di animali.

Fatti risalenti al 2016

Tale provvedimento giudiziario riguarda fatti che risalgono al 2016, quando l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali, in accordo con Animal Equality, denunciò gli episodi degli allevamenti interessati. “Si tratta di una sentenza importantissima che mette finalmente sotto i riflettori della giustizia i reati che ogni giorno si compiono nei confronti degli animali all’interno di moltissimi allevamenti intensivi“, hanno spiegato le due associazioni animaliste.

Per l’accusa, le scrofe in fecondazione e gestazione erano tenute in gabbie troppo piccole, tali da non consentire agli animali di poter girar su se stesse per difendersi da mosche o topi capaci di procurare sofferenze e lesioni. Spazi “non adeguati alla stazza degli animali”, si legge nella sentenza, dove si riscontra anche una totale “assenza di adeguati spazi asciutti e puliti per il riposo degli animali” e “inadeguatezza di arricchimenti ambientali (paglia, fieno, ecc). Animali sottoposti a condizioni insopportabili per le loro caratteristiche etologiche procurandogli sofferenze non necessarie e in alcuni casi anche la morte”.